Il risentimento dei maschi

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc


L’azione promossa a Trento da Borgonovo Re e portata avanti in tutta Italia da diverse iniziative femminili, per affermare la dignità delle donne alla luce delle tristi vicende nazionali riguardanti le indagini sui comportamenti del Presidente del Consiglio, esige qualcosa di più che il silenzio da parte maschile. Sarebbe facile limitarsi a esprimere un profondo sentimento di vergogna per un certo modo di intendere la mascolinità. Seppure la vergogna debba essere riconosciuta come una risorsa decisiva per un’etica dei comportamenti. La prova è che di vergogna se ne vede poca in giro in quest’epoca in cui si propone come stile di vita il “tutto è possibile”. Chiedendosi un po’ più approfonditamente cosa sta succedendo è naturale legare il tutto all’espansione dei valori individualistici e all’arroganza che li accompagna, la cui radice è principalmente maschile, anche se spesso imitata anche dalle donne. Si tratta di un individualismo che è divenuto così pervasivo da essere dato per scontato, dimenticando del tutto il fatto che non necessariamente il valore della persona debba ridursi alla privatizzazione dell’esistenza. Siamo esseri relazionali e senza gli altri con cui riconoscersi non siamo niente, pur se possiamo arrivare a pensare di essere tutto. Diviene importante cogliere l’occasione per chiedersi che cosa vuol dire essere maschi oggi. Sappiamo con evidenza che il dominio maschile della società è un fatto storico. Nasce in un certo tempo e si impone come modello unico. Sappiamo, inoltre, che quel dominio è figlio di un’elaborazione nevrotica e spesso violenta delle nostre debolezze di maschi. Eppure non è difficile trovarsi in situazioni in cui, tra maschi, persiste il modello del cacciatore; si perpetuano i concetti della conquista e del non farsi scappare le occasioni. Per non parlare dei linguaggi e dei pregiudizi diffusi negli ambienti lavorativi e nella vita di ogni giorno a proposito delle capacità femminili e del loro riconoscimento. Rimane indicibile e inconcepibile in molti campi l’emancipazione e l’espressione professionale femminile. In questo quadro si inserisce lo squallore delle vicende italiane di queste settimane. Sembra oltremodo importante non anestetizzarsi e sentire il disagio e la vergogna, ascoltare fino in fondo il risentimento di essere maschi, se l’essere maschi può voler dire quello che vediamo accadere. Si cercano, di questi tempi che sono definiti di crisi dei valori, degli orientamenti e dei valori di riferimento. Uno dei valori a cui dedicarsi sembra certamente quello del riconoscimento del fatto che noi esseri umani, tutti, uomini e donne, siamo, emotivamente e affettivamente parlando, portatori di aspetti materni e paterni. Abbiamo bisogno sia di contenimento che di determinazione, sia di cura che di autorevolezza. Riconoscerlo vuol dire assumersi la responsabilità dello sdegno e del risentimento come segno di civiltà umana, maschile e femminile. Esiste un modo diverso di essere maschi ed è un dovere civile esprimerlo nei fatti.