Dopo il 15 marzo

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagineOra che siamo rimasti stupiti e ammirati da quanto sono riusciti a esprimere le giovani e i giovani trentini insieme a quelli di tutto il mondo il quindici marzo, che facciamo? Cercando di capire qualcosa di più su come procediamo noi esseri umani di fronte ai grandi problemi che ci richiedono un cambiamento importante, si scopre che il rischio principale è che la passione di un momento speciale si dissolva. Abbiamo un grande bisogno di rassicurazione, e la troviamo principalmente nella consuetudine. Accade così che un evento, che nel momento della sua manifestazione ci aveva suscitato una forte emozione e un grande interesse, si sciolga come neve al sole nella nostra percezione e nel nostro vissuto. Come se una palude si ricomponesse su se stessa dopo essere stata attraversata da un evento che pure ne aveva sconvolto l’equilibrio di sempre. La crisi climatica, per la sua portata, mette in discussione troppe consuetudini, abitudini di vita, risultati economici conquistati con fatica, sicurezze e continuità. Siamo di fronte a un problema di cultura. Un problema globale e controverso che non ammette una sola soluzione, né vie d’uscita lineari e semplici. La cultura è fatta di valori e risponde a desideri, di stili di vita comodi, di macchine di ogni tipo, di case confortevoli. Tutte queste cose, peraltro, sono continuamente oggetto di proposte molto accattivanti presentate sempre in ambienti incontaminati. Sono associate alla libertà di iniziativa, all’opulenza e alla reputazione sociale, quando non al prestigio socialmente riconosciuto. Siamo immersi in una macchina dei desideri e in un immaginario condiviso, all’insegna del “di più è meglio”. Le nostre automobili ci piacciono lustre, con le cromature luccicanti e desideriamo che siano continuamente lavate. Naturalmente continuiamo a farlo con l’acqua potabile, e solo pensare di non poterlo fare ci inquieta. Eppure l’acqua è una delle risorse più preziose e tendenzialmente scarseggiante. I combustibili fossili che fanno funzionare la mobilità ci hanno dato l’illusione dell’illimitatezza del movimento, ma di fatto ci hanno schiavizzato. Le ragioni per il rischio di arrivare a negare il problema perché è troppo grande e perché affrontarlo è troppo scomodo, sono davvero tante. Allora rischiamo di fare come quell’albergatore che di fronte allo scioglimento di uno dei più importanti ghiacciai del Trentino, avendo sentito che al suo posto ci sarà un laghetto, ha imprenditorialmente detto che sarà sempre possibile attrezzarsi per andarci in barca. Dobbiamo ri-orientare i desideri e mettere mano a decisioni strutturali importanti. Alla base di tutto, forse, c’è che dobbiamo mettere mano a un nuovo racconto di noi stessi e del paesaggio in cui viviamo, se vogliamo che continui ad essere lo spazio della nostra vita.