Sindrome da selezione avversa

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


Per “La Trento che vorrei”

0. Il tempo condizionale è utopico e polare allo stesso tempo. Indica quel che non c’è ancora e richiede un polo opposto di partenza: la realtà da cui si vorrebbe emergere, da cui ci si vorrebbe allontanare, lo stato del mondo che si vorrebbe cambiare. In fondo contiene una negazione e un’affermazione allo stesso tempo. Quel movimento non facile lo esprime bene Sigmund Freud a proposito della negazione: “Mediante il simbolo della negazione il pensiero si affranca dai limiti della rimozione e si arricchisce di contenuti che gli sono indispensabili per poter funzionare” [ La negazione (1925), Sigmund Freud;Testo originale: “Die Verneinung” Link]. Posto che dal nulla trovo difficile proporre indicazioni, in quanto preferisco che il consentito emerga piano, in controluce, da un esame di realtà, per riflettere sulla “Trento che vorrei” considererò tre questioni: a) selezione avversa; b) adottare/rimuovere; c) diventare un luogo che si guarda dal mondo, smettendo di essere un mondo che si guarda dal luogo.

Scriverò in prima persona, sfidando un certo senso del pudore, ma per assumermi in pieno la responsabilità di quello che sostengo e propongo. Cercherò di fare un esame di realtà dal mio parziale punto di vista, facendo in modo che appaia in controluce la dimensione propositiva come insieme di possibilità generative emergenti dalle criticità, nell’auspicio che la città si orienti a una sua nuova stagione.


1.Non l’ho conosciuto di persona. Non so quasi nulla di lui. Solo come si chiamava. Certo lo vedevo spesso. O nella sua roulotte di piazza Duomo, o per strada in carrozzina. Aveva sempre il suo martello a portata di mano. A lui e in buona misura a quel martello si deve il fatto che Trento sia una delle città più sbarrierate. Natale Marzari è, ritengo, un simbolo della città di Trento. Antesignano, anticipatore, ma ai margini e, in fondo scartato. Non c’è una via dedicata a lui, né uno spazio in quella città che pure gli deve molto. Selezionare, infatti, in italiano vuol dire almeno due cose: scegliere o scartare. Sono molte le vicende analoghe che si sono manifestate negli ultimi trenta anni e che presentano un andamento simile. Ci sono piccole e grandi cose, ma sono accomunate dal tentativo di innovare dandosi un colpo d’ala e creando un’individuazione con una strategia, per poi emarginare quel tentativo, anche quando aveva lasciato risultati importanti. È come se la città avesse un habit autoinvidioso, che le impedisce di accedere alla realizzazione effettiva delle opportunità che essa stessa si dà. Scartare il meglio a predisposto a un presente insipido, senza priorità, dove, anche per le caratteristiche della forma urbana, tra nord, sud e centro, si sperimenta una vivibilità alienata e allo stesso tempo carica di iniziative ridondanti che, o hanno la forma della colonizzazione esterna, o quella dell’invasione solo consumistica, che non penetrano nel tessuto sociale e non ne sono espressione, se non parziale.

La domanda, quindi, è: perché da qualche anno la realtà trentina mostra di operare una selezione avversa, di rimuovere, scartare, selezionare, appunto, tutto quello che potrebbe creare innovazione necessaria e emancipazione, e che pure per un certo tempo ha adottato?

Scartare quanto si è fatto o si potrebbe fare per essere quel che si è e ancor più si potrebbe essere, è quello che da un certo momento in poi è accaduto sistematicamente, fino agli esiti problematici e preoccupanti degli ultimi anni.


2. L’autoinvidia è spesso sodale dell’invidia sociale e induce non solo a non fare, ma ad impegnarsi a impedire agli altri di fare. Le opportunità che Trento ha avuto sono state e sono tante, ma le capacità progettuali e innovative investite dovrebbero essere almeno corrispondenti. Diversamente le scelte adottate rischiano di essere o di dover essere presto rimosse. Come spesso è accaduto e accade. La città ha espresso tra le prime in Europa una concreta azione per l’accoglienza organizzata e governata delle migrazioni, la cui rimozione confusa e difficile persino da spiegare ha portato ad un’assimilazione ad altre realtà e ad una perdita di originalità. La collocazione geografica e culturale ha indotto spesso a pensarsi come porta tra nord e sud d’Europa, ma non vi è stato un seguito concreto ed un’apertura che avrebbe potuto essere effettivamente strategica. Le istituzioni culturali hanno avuto e hanno un forte vincolo nell’appartenenza locale e nel proiettarsi verso un dialogo distintivo di dimensioni internazionali. Non perché l’appartenenza locale sia un fattore negativo, ma in quanto oggi assume valore se posta in tensione con questioni e opportunità globali. Il disegno culturale della città, pur contenendo investimenti di importante rilievo, non riesce a darsi priorità distintive e continuative del tempo. Si pensi alla possibilità di fare rete fra le istituzioni culturali. Un problema che esiste dovunque, ma che assume a Trento una connotazione di particolare problematicità. Potrebbero bastare due o tre esempi: la destinazione del Palazzo delle Albere tuttora irrisolta nonostante le ipotesi anche fantasiose; la valorizzazione reiteratamente mancata di Piazza Mostra e dell’area di quello che è il simbolo della città, il Castello del Buonconsiglio; il destino a dir poco imbarazzante della Galleria Civica che, dopo aver vissuto periodi di particolare vitalità e progettualità, oggi si trascina in un percorso di rilievo modesto. Non è difficile mettere insieme tanti fatti, ognuno dei quali sembra di poco rilievo, per ottenere una descrizione di uno stato di latenza privo di un disegno in cui la creatività e la progettualità dovrebbero basarsi su priorità distintive ben definite e condivise. Si continuano ad adottare ipotesi di corto respiro e intanto predominano, in assenza di un disegno, questioni difensive come quella della sicurezza, facendo in modo che assumano enfasi problemi tutto sommato minori, i quali però trascinano la città verso una prospettiva di chiusura su se stessa, legittimata dalla paura alimentata ad hoc, prefigurando una china particolarmente pericolosa per il presente e il futuro.


3. Se si possono far scaturire alcune utopie concrete dall’esame di realtà tentato sopra, queste riguardano il fattore critico di successo della città di Trento, identificato con la cultura e della scienza come fattori di sviluppo sociale della comunità residente e degli ospiti; l’ecologia e la qualità della vita urbana; l’internazionalizzazione di ognuna delle espressioni rilevanti della città, cercando di superare lo iato tra la presenza universitaria e le reti sociali che la compongono. Consideriamo qualche approfondimento di questi tre aspetti, che sono solo alcune delle possibilità della Trento che vorrei, a uno dei crocevia dell’Europa.

La cultura è prima di tutto un fattore di sviluppo per i residenti. Il dialogo tra le istituzioni culturali e la città è tutto da realizzare. Vi sono certo esperienze in corso ma non si percepisce una logica di sistema in grado di fecondare la comunità locale favorendone emancipazione ed apertura. Si guarda principalmente alle iniziative culturali come fattori di richiamo dall’esterno e ciò produce una separatezza problematica.

Collocata in un sistema locale quello trentino, che nel paesaggio, nell’ambiente e nell’ecosistema trova una delle sue distinzioni e uno dei suoi principali vantaggi competitivi, la città capoluogo non riesce ad essere ecologicamente qualificata. È oppressa dal traffico automobilistico in entrata e uscita ogni giorno e il centro storico non è mai riuscito ad essere effettivamente riservato alla qualità della vita e dell’aria. Alcune delle piazze più importanti della città sono parcheggi all’aria aperta e l’immagine complessiva è ben lontana da una città ecologica, nonostante iniziative che sono state soprattutto di facciata. In questo campo sarebbero necessarie scelte profonde e determinate sfruttando l’occasione di essere tra i primi a creare un ambiente urbano basato su uan forma di vivibilità più che mai necessaria.

Per la sua collocazione geografica e storica nel terzo millennio, da dove si guarda la città di Trento? Dal mondo, o continua a guardare il mondo dal luogo dov’è? L’autonomia di cui è parte ha prodotto un orientamento principalmente centripeto, che si traduce in chiusura e auto centratura. Quella stessa autonomia può diventare l’inizio di un dialogo con un mondo ampio, prossimo e lontano, che solo può far riconoscere alla città le proprie potenzialità e un ruolo attualissimo tra nord e sud, tra culture mediterranee e mitteleuropee.