Sovranismo psichico

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagineC’è qualcosa negli stili comunicativi di noi tutti, nelle situazioni della vita quotidiana, che invita a una riflessione impegnativa, per niente facile. Indicatori si ravvisano come sempre nel linguaggio e nelle espressioni che usiamo correntemente. Può valere la pena parlarne in questi giorni in cui, secondo rituali ricorrenze, dovremmo essere tutti più buoni, o almeno così si dice. Per fare un esempio, capita di sentire sempre più spesso usare con un’accezione positiva il termine “aggressivo”. Se si acquista un capo di abbigliamento può succedere che il venditore o la venditrice, presi da un moto di solerzia, ti consiglino una scelta dicendo che ti dà un’aria aggressiva. Di bambini posati e riflessivi si dice che non sono abbastanza aggressivi. Nel sentire parlare di sport, e soprattutto di calcio, non mancano certo posizioni e espressioni connotate da particolare violenza. Per non parlare del comportamento alla guida di automobili o nelle relazioni di condominio. O ancor più di tutto in questo campo sono eloquenti le situazioni dei talk-show televisivi, dove se non esprimi aggressività, a partire dai gesti dei conduttori che segnano imperiosamente con le mani in direzione delle telecamere, non fai audience. Riflettere su questo humus è importante soprattutto se il tutto si paragona a qualche anno fa, quando dare dell’aggressivo a uno voleva dire offenderlo. Ora le posizioni devono sempre essere certe, escludere il dubbio anche quando si esprime un’opinione, e devono essere sostenute con aggressività, appunto. La conoscenza documentata di un fenomeno o di una questione deve valere quanto la più improvvisata delle opinioni, raccolta magari fugacemente dallo smartphone. Come si fa a non vedere che questa crisi dei legami sociali e dell’ascolto vicendevole e riflessivo è il terreno di coltura del sovranismo che alligna in politica? Se chiamiamo sovranismo psichico quello che caratterizza le relazioni interpersonali nella vita di ogni giorno, si può sostenere che la crisi delle forme partecipative e dialogiche nell’esercizio del potere sia basata sui modi in cui ci rapportiamo quotidianamente. Nelle forme di esercizio del potere, infatti, non vi è possibilità di affermarsi per una forma e per una leadership, se non vi è legittimazione e riconoscimento da parte della base e dei follower. Chi si comporta in un certo modo nel comandare può farlo in quanto il suo stile corrisponde almeno in una certa misura allo spirito del tempo. È di quello spirito del tempo e di quell’humus, di quel terreno di coltura che noi tutti siamo responsabili. È nel mettere in atto l’arroganza e il sovranismo psichico quotidiani che legittimiamo di fatto, magari con l’indifferenza, il sovranismo del potere politico. Antonio Gramsci, in un discorso alla Camera, dichiarò: “Odio gli indifferenti”.