La fiducia non è donna
Di Ugo Morelli Hic et Nunc Da un lato, nel lavoro dipendente, la discriminazione salariale uomo-donna; dall’altro, nel lavoro autonomo lo svantaggio per ottenere finanziamenti: in questi e in altri modi di articola il cosiddetto “gender gap”. E non solo nessuno se ne occupa, ma alla sua perpetuazione concorrono molte realtà e istituzioni. È di questi giorni la notizia che il problema riguarda non solo le lavoratrici dipendenti ad ogni livello, pagate come è noto circa il trenta per cento in meno a parità di posizioni e responsabilità professionali, ma anche le imprenditrici, sia dell’industria e dell’artigianato, che del commercio. In questo caso sono gli istituti di credito a causare la conferma della discriminazione. Se la media nazionale della non concessione dei finanziamenti è del quarantasette per cento, infatti, le imprenditrici si vedono rifiutare fiducia e sostegno finanziario nel sessantadue per cento dei casi. Ciò accade non tanto nella grande industria e nelle grandi organizzazioni commerciali. Considerando che il tessuto aziendale medio-piccolo è la principale parte del sistema produttivo italiano e trentino questo acuisce la portata del problema. Sì, perché la discriminazione, come emerge dai dati dell’Osservatorio del terziario, è diffusa in tutto il paese senza grandi distinzioni territoriali. Le donne titolari di piccole imprese, dai servizi al commercio, ai trasporti, chiedono meno soldi e ne ottengono ancora meno, rispetto alla media. Non solo, ma anche quando i finanziamenti sono concessi, le donne subiscono un cosiddetto “irrigidimento”, cioè una concessione inferiore alla richiesta, superiore del dieci per cento rispetto agli uomini. Tutto questo accade mentre uno studio della Banca d’Italia evidenzia che le donne sono migliori pagatrici dei propri debiti rispetto agli uomini e, come tali, dovrebbero essere riconosciute più affidabili. Un altro fattore deve essere considerato per comprendere la gravità del fenomeno, che è tale prima di tutto sul piano sociale e umano, ma lo è anche sul piano economico. L’imprenditoria femminile è in crescita con tassi superiori a quella maschile. Questa tendenza può essere rilevante per la ripresa economica quanto mai necessaria. Ne deriva che il problema dell’accesso al credito delle donne si configura come un problema dell’intera economia. C’è da considerare che il gap riguardante i finanziamenti si combina con altre questioni note e non meno gravi che partono dalle maggiori difficoltà ad essere assunte in lavori dipendenti, da parte delle donne. Quelle difficoltà inducono all’iniziativa in proprio come soluzione possibile. Allo stesso tempo le donne devono fare i conti con un carico di lavoro familiare e di assistenza che le vincola spesso a soluzioni di ripiego. In questo circuito perverso si protrae la discriminazione verso l’emancipazione femminile. |