L'originario e l'originale del paesaggio irpino
Di Ugo Morelli Hic et Nunc Il paesaggio irpino che si estende dai limiti del territorio napoletano fino alle Puglie e alla Basilicata è un mondo solo in parte esplorato. Un mondo che attende di essere riconosciuto, proprio nel momento di uno dei suoi massimi abbandoni. Forse l’occasione è data dalla caduta verticale del valore della terra e dai limiti di capacità nella valorizzazione da parte di un’agricoltura che stenta a riconoscere che i tempi sono cambiati. Per quanto sia un territorio abusato, infatti, l’opportunità nuova sarebbe data dalle trasformazioni della domanda e dal privilegio che oggi va principalmente verso prodotti di qualità, a vocazione locale, possibilmente di nicchia e in grado di parlare delle culture millenarie che ne costituiscono l’origine e le possibilità di evoluzione. Dove per prodotti si intende tutto quanto le comunità sono in grado di esprimere, dalla produzione agricola, all’artigianato, all’industria, all’ospitalità, alla ricerca applicata. Il condizionale è d’obbligo perché nessuno è in grado di dire se da qualche parte ci sia qualcuno capace di assumersi la responsabilità illuminata di svoltare e porre il paesaggio al centro di un modello di sviluppo atteso da tempo immemorabile. Sono due i poli da integrare per i quali è necessaria un’inedita combinazione tra conoscenza, leadership e azioni concrete finalizzate a valorizzare le risorse e le intelligenze che pure sono presenti e forse disponibili. Quei poli sono l’originario e l’originale. L’originario è dato dalla storia profonda di queste terre. È da lì che bisognerebbe cominciare una volta tanto. Federico II scrisse, del paesaggio di Puglia: “Se il Signore avesse conosciuto questa piana di Puglia, luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui”. Mio nonno che aveva scelto la terra d’Irpinia per viverci, nel suo piccolo, ci diceva sempre: “Il Signore ha creato questo posto e noi l’abbiamo scelto”, con orgoglio e soddisfazione. Nella giornata del paesaggio che da poco si è svolta a Castel del Monte il paesaggio è stato individuato come contenitore e come contesto, nelle sue stratificazioni, nella sua dimensione storica, per la sua archeologia e per i segni architettonici degli esseri umani che vi hanno vissuto e vi vivono. Ma è il paesaggio percepito e agito da noi contemporanei la più rilevante delle dimensioni da prendere in considerazione e analizzare. Sin dalla legge fondamentale in materia di tutela (n. 1089 del 1939 o Legge Bottai, oggi rifluita nel T.U. dei beni culturali, D. Lgs. 490/99), consapevole del loro notevole interesse pubblico, si è introdotto il concetto di protezione delle bellezze naturali (legge n. 1497) in quanto “bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”. L’articolo 9 della nostra Costituzione è considerato uno dei più completi del mondo, per quanto riguarda il valore del paesaggio e del patrimonio naturale e artistico. Ogni anno in più parti si celebra la Giornata nazionale del Paesaggio che il Decreto ministeriale n. 457 del 7 ottobre 2016 ha istituito con l’obiettivo di richiamare il paesaggio quale valore identitario del Paese e trasmettere alle giovani generazioni il messaggio che la tutela del paesaggio e lo studio della sua memoria storica costituiscono valori culturali ineludibili e premessa per un uso consapevole del territorio e uno sviluppo sostenibile. Il paesaggio rappresenta oggi una risorsa ambientale, sociale, economica e si configura come una componente importante del patrimonio culturale e naturale dell’Europa: coopera allo sviluppo delle culture locali e contribuisce al consolidamento dell’identità europea. Partendo dal presupposto che il paesaggio sia una chiave del benessere individuale e sociale dei cittadini chiamati a partecipare attivamente alla sua salvaguardia, gestione e pianificazione, occorre portarlo al centro dell’attenzione delle popolazioni e degli studenti affinché ne prendano atto. Tutti questi fattori che la norma riconosce e indica di valorizzare, costituiscono il patrimonio originario da cui partire. Pare indispensabile partire da lontano, dal tempo profondo, per una rinascita che sappia andare oltre i guasti e i danni che le diverse fasi storiche hanno prodotto. Se l’originario è la base di ogni possibilità, oggi correrebbe l’obbligo civile di coltivare l’originale. Dove l’originale riguarda la capacità di fare parlare al presente la storia, generando l’innovazione necessaria a valorizzare in modo distintivo e tendenzialmente unico il patrimonio paesaggistico. Ciò vuol dire non ridursi agli stilemi tradizionalistici né tantomeno alle enfasi del momento come la consumata enogastronomia o le sole sagre e celebrazioni figuranti. Vuol dire bensì considerare il paesaggio prima di tutto uno spazio di vita attraente e vivibile per i residenti e per chi ne fruisce da ospite, ma ponendo al centro il fatto che il paesaggio è la proprietà emergente dai modi in cui chi ci vive traduce i luoghi e li valorizza. Allora finalmente la storia vive al presente con la fecondazione di una memoria documentata e fondata. Il paesaggio allora si riconosce nell’acqua e nel modo di custodirla; nelle scelte agricole e nella loro distinzione specifica; nella flora e nella fauna; nei modi di costruire e tenere i centri abitati; nella tutela e valorizzazione dei patrimoni culturali; nelle tracce degli esseri umani e della loro antropologia. Una scelta illuminata e ben guidata sembra possibile se si mette mano a un luogo di ricerca e studio che sappia allo stesso tempo formare giovani che si specializzino nei diversi settori e riversino sul territorio i propri patrimoni conoscitivi. Importanti tradizioni di studio e ricerca stanno facendo questo in molti luoghi europei e italiani e l’Irpinia attende un gesto capace di non perdere anche questa occasione, in tempi in cui l’ambiente e il territorio sono la risorsa critica per ogni presente e ogni avvenire possibile. |