La conoscenza è una narrazione infinita

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagineIl bambino narrante di Una tigre in cantina di Amos Oz entra nella storia come un sionista fanatico, completamente preso dal suo senso di giustizia, ma nel giro di due settimane scopre con immenso stupore che al mondo ci sono cose che si possono vedere in un modo ma anche in un altro, completamente diverso. Il potere trasformativo della narrazione ancora una volta mostra che il pensiero sintagmatico e la continua ricerca di significato che ci distingue in quanto umani, non hanno solo una connotazione descrittiva del mondo, ma una specifica valenza conoscitiva. La scienza e la conoscenza hanno da sempre saputo che emozione, intuizione e narrazione sono parte integrante del processo conoscitivo e se esiste un riduzionismo buono, quello è necessario per la ricerca, la verifica e la falsificazione sperimentali, ma non può essere confuso con la complessità fenomenologica dell’esperienza effettiva vissuta dalle persone. È quindi lo scientismo, non la scienza, che si pretende oggettivo e imperturbabile, esito di una pretesa di sguardo a distanza dal mondo, come voler vedere senza occhi. Ciò non vuol dire aprire le porte al mistero e ammettere dimensioni esoteriche, magiche o ascrivibili alla complicata congerie delle prospettive new age che tanta parte occupano nelle menti e nelle esperienze contemporanee, con conseguenze perniciose e pericolose per gli individui, le collettività e la democrazia. Vuol dire riconoscere che ogni processo di conoscenza è frutto di una composizione e ricomposizione di pensiero logico-formale e di pensiero sintagmatico; dietro ogni pensiero c’è un’emozione, e se si guarda con attenzione sono proprio le discipline con uno statuto epistemologico e metodologico approssimativo se non precario a porsi in una posizione di pretesa distanza dalla dimensione narrativa dei propri costrutti. Da tempo la fisica, la biologia, e le scienze della vita in particolare, hanno riconosciuto e riconoscono come le teorie siano provvisorie narrazioni del mondo, derivanti da metodi di ricerca più o meno protetti e candidate ad essere messe in discussione e falsificate da ricerche successive. Cambiare idea è il senso profondo della conoscenza scientifica e sono le narrazioni inedite e plurali, nonché tra loro conflittuali, che possono sostenere il cambiamento di prospettive e l’innovazione del pensiero e della conoscenza. Basterebbe per questo richiamare il ruolo delle metafore e della loro rilevante funzione conoscitiva. O sarebbe sufficiente leggere l’incipit di uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi per constatare come uno scienziato e scrittore combina scienza e letteratura: “Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isòtere si comportavano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913”. Al di sopra dello stucchevole dibattito sulla letteratura, la storia e le scienze umane da un lato, e la cosiddetta scienza esatta dall’altra, si colloca il libro di Z. Bauman e R. Mazzeo, Elogio della letteratura, appena pubblicato da Einaudi. Dovrebbero leggerlo ministri e dirigenti della scuola italiana che, ubbidendo da chierici del pensiero dominante alla logica cieca delle competenze pratiche inflitta persino ai bambini della scuola primaria, stanno creando scelte e programmi che mortificano la capacità di pensarsi e di pensare, di riflettere e di sviluppare un pensiero critico, in intere generazioni. Così facendo non solo stanno creando analfabeti di secondo grado che non hanno e non avranno codici per leggere il mondo e ne subiranno le forme dominanti rimanendo consumatori, anche del marketing politico, e non cittadini consapevoli, ma stanno negando la complessità dell’umano e la funzione prima dell’educazione che consiste nel moltiplicare le possibilità e nel favorire la ricchezza delle opportunità e non la loro mortificazione. Per comprendere la vasta esperienza umana dell’essere nel mondo abbiamo bisogno dell’elaborazione della “rivalità tra sorelle”, scienza e letteratura, come la chiamano gli autori. L’individualismo che si configura come autismo sociale e il trinceramento nell’uno, nelle spire del pensiero unico che antepone a tutto le ragioni economiche, può trovare nel pensiero narrativo un potente antidoto. Il sogno moderno dell’autonomia, dell’autocreazione e della libera autoaffermazione, ancora da tradurre in realtà, ha bisogno di scienza e di letteratura, ovvero di alimentarsi della narrazione infinita che è la conoscenza.