Generazioni tradite

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagine“Nel paese dei ciechi, quelli che ancora vedevano scelsero di chiudere gli occhi”. Il testo di una vignetta di El Roto, apparsa su El Paìs, sembra la descrizione sintetica dell’atteggiamento che assumiamo, dalle istituzioni alla società in generale, nei confronti del problema del lavoro. L’inchiesta del Corriere del Trentino del 18 giugno ritrae a livello locale quello che accade in buona parte del mondo, soprattutto occidentale. L’economista Ragurham G. Rajan, presidente della Banca Centrale Indiana, sta per pubblicare un nuovo libro che ha per titolo Il terzo pilastro, con riferimento alle relazioni sociali e alla qualità della vita nell’attuale contingenza economica. In apertura egli cita un dato sconcertante: negli Stati Uniti, i maschi bianchi in età da lavoro si stanno autodistruggendo con alcol, droghe e suicidi a un ritmo che equivale a “dieci guerre del Vietnam simultanee”. Il principale fattore di questa crisi e di questo degrado sociali è la disoccupazione con la particolare incidenza del precariato. Il lavoro sembra connettersi sempre più all’alienazione, o perché manca, o perché è oggetto di ipersfruttamento e causa catene di depressione e di suicidi, come accade in alcune fabbriche cinesi. Chi dovrebbe contrastare la perdita di lavoro o la precarietà, mostra o indifferenza o proposte balbuzienti, di fronte a una tragedia sociale che lede autostima e identità individuali e collettive. Se quasi un quarto degli under ventiquattro è senza lavoro in Trentino e i laureati si adattano a mestieri umili o qualsiasi, il senso di impotenza individuale e la crisi di legame sociale sono inevitabili. D’altra parte basta guardare la natura e le caratteristiche dei contratti di chi una qualche forma di lavoro ce l’ha per avere una conferma della situazione. Quei contratti sono quasi tutti a tempo determinato, a part-time, nella maggior parte dei casi involontari. L’occupazione temporanea involontaria, infatti, raggiunge, in un anno come il 2015, il novantasette per cento. Anche nel part-time, circa la metà non ha richiesto quel tipo di contratto e involontariamente lo accetta, in assenza di alternative. Gli interventi pubblici massicci avrebbero dovuto innescare un processo di reazione capace di convertire la tendenza in atto, ma così non è stato, probabilmente per la fragilità del sistema locale e per la sua scarsa propensione all’innovazione. Non solo, ma i datori di lavoro hanno agito principalmente sulla riduzione del costo del lavoro per affrontare la crisi, piuttosto che sulla valorizzazione e sullo sviluppo del capitale umano. È questa probabilmente la prima tendenza da convertire: c’è bisogno di conoscenze e competenze di qualità elevata per uscire da una situazione che rischia di pregiudicare la qualità del legame sociale e la stessa dimensione comunitaria in cui viviamo.