Il futuro interiore delle Dolomiti
Di Ugo Morelli Hic et Nunc Abbiamo fatto le Dolomiti Unesco e ora dobbiamo fare i dolomitici. Parafrasando Ippolito Nievo, si potrebbe dire così lo stato dell’arte della consapevolezza e della cultura delle comunità nei territori afferenti alla Fondazione Dolomiti Unesco. Il senso di responsabilità e l’investimento personale, di gruppo e comunitario, sono ben lontani dal riconoscere l’accreditamento come un valore diffuso, condizione unica per valorizzare il patrimonio. Un patrimonio mondiale, cioè esclusivo nel mondo intero, in casa nostra. Vi sarebbe una responsabilità di parlare e di agire eppure, come abbiamo potuto rilevare anche in azioni recenti per la formazione e lo sviluppo di una cultura evoluta per la gestione del patrimonio dolomitico, si verifica quello che potremmo chiamare un sistematico peccato di omissione. Quello di omissione è un peccato deliberato. Diversamente da altri peccati, deriva da una disposizione e decisione di chi lo commette. Che cosa viene omesso? Semplicemente l’impegno a vivere, ad ogni livello, l’opportunità unica di fare dell’accreditamento Unesco un carattere distintivo delle scelte, dagli enti locali, alle associazioni di categoria, ai singoli cittadini. È soprattutto il mondo dell’educazione e della formazione che si mostra distratto rispetto al riconoscimento Unesco, che può diventare un lievito per le comunità, la società, l’economia. Persistono invece episodi e stili che vanno in direzione contraria. Il campanilismo, anche linguistico, è diffuso e interviene per esempio nella scelta delle lingue per definire i luoghi e le realtà ospitanti; le domande riguardanti che cosa porta il riconoscimento Unesco persistono diffuse e cariche di ironia.; la concentrazione sul brevissimo periodo non lascia ancora il posto a una disposizione a pensare in termini di futuro anteriore, a chiedersi, cioè, che cosa ne sarà stato di questi territori e di queste comunità fra qualche anno; un’economia della sostenibilità stenta a prendere piede e le tentazioni di non lasciare la via vecchia sono sempre in agguato. A farci difetto forse non è solo una propensione verso un futuro anteriore, ma principalmente un futuro che potremmo definire interiore. Quel futuro dovrebbe avere almeno tre facce. Partire da una coscienza diffusa del patrimonio naturale e del suo valore specifico, per salvaguardarlo come condizione per la sua valorizzazione economica. Mettere mano a un vero e proprio salto di qualità sul piano della conoscenza dei luoghi e dei paesaggi e sul piano della professionalità per ospitare e accogliere, all’altezza del nostro tempo e dell’evoluzione delle condizioni di offerta e domanda. Porre al centro la vivibilità dei residenti e le opportunità per accogliere le capacità evolute delle giovani generazioni residenti, perché loro sono il futuro. |