Vogliamo tutto
Di Ugo Morelli Hic et Nunc Vogliamo le cose senza considerare l’impegno che averle comporta. Vale per tutto e il caso dell’abbattimento dell’orso in Trentino ne è un indicatore evidente. Buona parte dell’affermazione di noi esseri umani, dall’origine dell’agricoltura e della vita stanziale in avanti, è stata dovuta alla domesticazione di altri animali, a cominciare dal cavallo. Abbiamo esteso quella prospettiva e in dieci-undicimila anni siamo diventati i padroni del pianeta, come recita il titolo di un libro di uno dei più grandi paleoantropologi, Ian Tattersall. È noto che a noi manca l’assistenza della dea Sofrosine, che nel paganesimo latino era la dea della misura. Progressivamente l’inaddomesticato è divenuto fastidioso e ogni cosa che non si presenta perfettamente riducibile alla nostra pretesa narcisistica di essere al centro di tutto ci risulta inaccettabile. Oggi poi il problema si è approfondito e interiorizzato: non solo abbiamo piegato il sistema vivente alla nostra pretesa di dominio, ma applichiamo quella stessa prospettiva a noi stessi. Siamo portatori di un delirio di onnipotenza e di una sindrome eroica, di cui abbiamo avuto prova con le reazioni alla crisi di un campione come Usain Bolt. Per noi, patologicamente, non esiste il tempo, non esiste la finitudine, non esiste il limite, non esiste l’errore: si può e si deve solo vincere in una competizione sistematica che va dai modi in cui educhiamo i bambini, ai videogiochi, allo sport, alla cura ossessiva di sé, alla concentrazione parossistica sul cibo. Tutti segni di un’evidente problematica personale e collettiva, che poi presenta il conto, generando depressione, disagio diffuso e forme violente di reazione, con la ricerca di capri espiatori. Applicata a noi stessi e alla natura, questa autocentratura narcisistica pare essere il brodo in cui matura la soppressione di un animale che, tra l’altro, non si chiama più orso ma KJ2. Scopriamo così che abbiamo voluto un orso antropomorfizzato, un orso che non deve essere selvatico ma “educato”, un orso che si comporti come un peluche o come Winnie the Pooh. La convivenza con la natura e con gli altri animali avrebbe dovuto e dovrebbe comportare un rispetto e un riconoscimento reciproci. E invece ancora una volta scopriamo la nostra incapacità di accettare l’alterità e farci i conti. Neghiamo di fatto l’alterità in ogni sua espressione, in nome di un modello unico: quello del maschio medio occidentale dominatore ed eroe sempre giovane e bello. Solo che non si possono fare i conti con l’alterità senza cambiare se stessi. Vogliamo tutto e senza le condizioni e i costi relativi. È una posizione border-line, tra nevrosi e psicosi, individuale e collettiva. |