Il lavoro: scarso, precario, insicuro

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


Se il diciassette per cento in più di denunce per infortuni sul lavoro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno in Trentino vi sembran poche, vale la pena fermarsi a pensare. Per non parlare dei dodici morti del 2016. Del resto è la cronaca di una morte annunciata. Prima ancora che considerare lo scarto tra tutte le parole e i corsi obbligatori che si fanno sulla sicurezza, e la realtà effettiva dell’attenzione alla qualità della vita di lavoro, sembra necessario guardare alla caduta verticale di considerazione del valore del lavoro, come lo stesso Romano Prodi riconosce nel suo ultimo libro, Il piano inclinato, edito da Il Mulino. Un vero e proprio schiaffo in faccia che si connette strettamente all’aumento delle disuguaglianze sociali e alla caduta di ogni forma di mobilità sociale, come Antonio Schizzerotto documenta da tempo anche per il Trentino. Se avevamo sognato e cercato una società più giusta, quello che di fatto sta accadendo è esattamente il contrario. Il lavoro non solo non è riconosciuto come un valore ma, evidentemente, assume le caratteristiche di un fastidio, di una variabile scomoda, che costa e richiede un’attenzione che non si vorrebbe dedicare. In questo clima calano le misure di sicurezza, aumentano i carichi di lavoro, si trascurano le regole di base nei magazzini e nelle officine, si diffonde la precarietà e, quindi, la disponibilità necessitata a fare qualsiasi lavoro ad ogni condizione per assicurarsi la sopravvivenza e il mantenimento del posto. Si aggiunga a tutto questo la freneticità derivante da una costante richiesta di accreditamento, in un clima di minaccia generalizzata in cui il posto di lavoro è proposto come un privilegio continuamente subordinato a un potere unilaterale. Due questioni conviene approfondire tra le altre, per cercare di comprendere meglio la situazione. Le denunce per gli incidenti stavano registrando un calo progressivo negli anni precedenti, mentre ora si registra una ripresa. La natura degli infortuni denunciati riguarda la categoria delle cause cosiddette “non determinate”, la qual cosa fa pensare che ci troviamo nel campo dei limiti della regolarità. Del resto il sindacato evidenzia come con la crisi e l’esasperazione della concorrenza le prime spese a saltare siano quelle per la sicurezza seguite o precedute, a seconda dei casi, da quelle per la formazione. L’edilizia, i trasporti, il commercio, sono i settori maggiormente interessati, ma il clima complessivo di disinvestimento riguarda il valore del lavoro. Non è immaginabile un cambiamento di rotta in questo campo solo con l’impegno dei lavoratori a denunciare quello che accade. È necessaria un’assunzione di responsabilità politica rispetto a quello che è forse uno dei problemi principali del nostro tempo: la crisi del lavoro come crisi di civiltà.