Che genere di precarietà

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


l codice materno nella società precaria.
Sapere e potere tra concepimento, generatività, razionalizzazione

Abbiamo bisogno di ‘ordini’
capaci di generare eresie”
[Massimo Cacciari]

“…..le idee sono stelle, in contrasto col sole della rivelazione.
Non brillano nel giorno della storia, operano solo invisibilmente in esso”.
[Walter Benjamin]


O. Quando il genere incontra la precarietà.

A chiedersi quali costi comporti una crisi congiunta di particolare incidenza nel nostro tempo, quella tra genere e precarietà, si scopre una delle principali aree di “spreco sociale” e di minorità ed emarginazione. Uno spreco esistenziale e progettuale che trascura ed esclude una così decisiva componente del genere e dei codici affettivi, quella del codice materno e femminile, che finisce per congiungere genere e precarietà. Siamo indotti, quindi, a chiederci di che genere di precarietà si tratti; quali dinamiche la producono; quali dispositivo la crei e le è sotteso; quali sono i costi principali e quale cultura recente si sia generata a partire da quella combinazione tra genere e precarietà.

Partiamo da quest’ultimo aspetto, la cultura emergente su sesso, genere e codici affettivi. Se consideriamo la cultura quella “cosa” che non sai come si evolve e va a finire, bisogna dire che con i movimenti di emancipazione femminile non è andata a finire come pareva fosse nelle premesse e come da quelle premesse ci si sarebbe potuto attendere. I movimenti di emancipazione femminile della seconda metà del ventesimo secolo, pur con non poche differenze, sono riconducibili alle caratteristiche proprie del progetto moderno. Quel progetto richiedeva manifestazioni ed espressioni propositive basate sul conflitto, quando non sull’antagonismo, con criteri del “dentro/fuori” e con una logica di fondo che era quella dell’ “amico/nemico”. Un determinismo degli esiti nella negazione dell’altro, a lungo subito e ora negato, che ha finito per generare tattiche imitative dei percorsi e degli stili di affermazione propri dei codici maschili e paterni. Quell’imitazione, se ha consentito di conquistare posizioni di potere seppur minoritarie, non ha portato all’evoluzione di una pluralità di codici affettivi praticati e al riconoscimento del pluralismo di genere. La riduzione e semplificazione a “donne contro uomini” della complessità dei rapporti tra sessi, generi e codici affettivi, non ha giovato alla causa femminile e non ha contribuito all’emancipazione delle donne dalla loro minorità, né all’emancipazione dei maschi dalla loro presunta superiorità. Le immediate reazioni a questa lettura di quello che è accaduto non tengono conto della esigenza di condurre un’analisi non solo quantitativa della questione di genere, né della dimensione emancipativa complessiva, ovvero della ineluttabile interdipendenza tra maschi e femmine per ogni possibile evoluzione ed emancipazione.

Sulla riduzione al quantitativo pare necessario affermare, alla luce dei fatti, che non avremo una società più giusta e, come dice qualcuno migliore, quando più donne avranno accesso alle posizioni di potere, se per la conquista di quelle posizioni quelle donne avranno fatto ricorso all’adozione di uno stile e di apparati pratici tipici del codice affettivo paterno o maschile.

Se il movimento femminile doveva inventare un nuovo spazio di vita, inedito e capace di essere composto da codici affettivi materni e paterni combinati a seconda delle contingenze relazionali e situazionali, ebbene, è possibile sostenere che non c’è riuscito.

Con queste considerazioni non si intende negare quello che è accaduto nel percorso di liberazione e di sviluppo della condizione e del ruolo delle donne. La questione del genere non è ferma. Semmai si tratta di chiedersi se, mentre molte cose sono cambiate in quelle che possiamo chiamare le figure, i ruoli femminili nella società e nelle relazioni intersoggettive, ciò abbia prodotto cambiamenti nella cornice, nel contesto e nel grado di civilizzazione pluralistica delle società, nella giustizia sociale e nella libertà, nella creatività e nella qualità del lavoro. A porsi questa questione difficile, quel che se ne ricava è che si sia di fatto prodotto una maggiore disuguaglianza sociale di cui le donne partecipano e come dominanti e come dominate, e che sia in atto una combinazione perversa tra genere e precarietà.