Analfabetismo sentimentale *

Di Ugo Morelli (* Da Corriere del Trentino).


Hic et Nunc


La realtà ci può bastare così com’è, oppure no. Dal nostro atteggiamento e dalla nostra posizione dipendono sia la nostra inquietudine che la nostra capacità di sentire gli altri e la vita. Proprio di questo sembra parlare l’anno che si conclude. Abbiamo visto accadere cose che ci hanno cambiato e ci cambieranno, ma l’immaginario collettivo ci ha consegnato comunque alla festa, verso la fine dell’anno. Nonostante tutti gli avvenimenti e la progressione della crisi di vivibilità, culturale e ambientale, neanche stavolta siamo riusciti a fermarci. Che la festa continui, è stato il monito e le città e i paesi si sono riempiti di merci ripetitive e standardizzate, utili a fare i cosiddetti regali. Non siamo riusciti a camminare per le strade per le folle di persone prese da smanie di consumo ad ogni costo e ci siamo dati a due mondi paralleli: da un lato l’esecrazione rituale per gli eventi e per la crisi di civiltà in atto; dall’altro il bisogno compulsivo di festeggiare. Prigionieri di un modello che ci trasforma da cittadini in consumatori, non riusciamo a raccontarci in un modo diverso, e chi prova a farlo si ritrova ad essere considerato un diverso o uno strano. Un’immagine può essere valida per rappresentare la situazione di restrizione mentale e pratica del racconto di noi stessi: tutta l’identità e l’esperienza turistica invernale, che tanta parte ha avuto nella società e nell’economia locale, si riduce oggi a una striscia di neve artificiale circondata dalla siccità e dalla polvere. Chi scia e chi opera in quel settore, ma anche chi vive nei luoghi, guarda solo quella striscia e identifica se stesso e tutto il mondo con quella striscia. Una monocultura della mente centrata sul consumare in quel modo e ad ogni costo quell’esperienza, senza capacità di allargare e alzare lo sguardo verso la crisi ambientale e le trasformazioni in atto, che richiederebbero ben altra determinazione nella ricerca di alternative e possibilità. È chiaro che amare considerazioni come queste potrebbero in un attimo essere considerate un giudizio impietoso e magari anche supponente. Non è questo lo spirito con cui le esprimiamo. Vorremmo invitare noi tutti a svegliarci; ad aprire gli occhi di fronte al presente; a cercare insieme in modo garbato ed elegante di ascoltare il presente e di farlo parlare. Questo presente è gravido di futuro e non è abitandolo in modo passivo e all’insegna della forza dell’abitudine che ci consegnerà un avvenire possibile. Si tratta di sentirlo, il presente. Per questo è necessario far esprimere i disagi e attraversare i conflitti che ci propone: ci vuole un’educazione a sentire che ci porti oltre questo analfabetismo sentimentale in cui rischiamo di affogare sommersi dai nostri regali e dalla nostra normalità apparente.