Ma la terra ce la siamo inventata noi? E abbiamo oggi reinventarcela?
Franco Farinelli ci conduce in un viaggio infinito andata e ritorno tra mente e mondo. Di Ugo Morelli. Hic et Nunc ![]() È stato T. S. Eliot, grande poeta, a chiedersi con i suoi versi: “Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione? I cicli del Cielo in venti secoli ci portano più lontani da Dio e più vicini alla polvere”. Farinelli assesta una sottile e quanto mai opportuna critica alla cosiddetta filosofia della post-modernità, allorquando essa pretende di individuare una differenza tra moderno e postmoderno nel fatto che mentre nella modernità la mappa è la copia del territorio, nella postmodernità il rapporto sarebbe rovesciato: per la prima volta il simulacro (la tavola, la rappresentazione geografica) precederebbe il territorio. Farinelli commenta: “Come dire allora che già Kant sarebbe postmoderno, per tacere di Anassimandro”. Se così fosse “il più postmoderno di tutti sarebbe Cristoforo Colombo: così tra l’inizio della modernità e la postmodernità non vi sarebbe più nessuna differenza, la prima sarebbe la seconda e viceversa. Con Colombo, infatti, la rappresentazione geografica (la tavola, la mappa) prende il posto del mondo , ricomprende ed assorbe tutto ciò che esiste: la carta, cioè lo spazio, il primo degli strumenti della modernità, che proprio con Colombo si afferma” (pp. 69-70). Come già si può intuire, quello di Farinelli non è solo un rigoroso argomentare geografico: siamo di fronte a un pensiero, il suo, che non si piega alla mortificazione dei confini disciplinari né al rigor mortis degli steccati accademici. Intervengono nella sua narrazione arcipelaghi di punti di vista, geografie affettive e dati oggettivi, epistemologia e psicologia dell’osservatore, per condurre il lettore in una vera e propria esplorazione, fino al punto di far pensare alla geografia come un viaggio infinito andata e ritorno tra mente e mondo. Noi, spesso, siamo come i marinai di Colombo, che sono nella condizione di credere “di vedere terra soltanto perché sono convinti della sua esistenza in quel punto, e sono convinti dell’esistenza della terra in quel punto soltanto perché l’hanno vista sulla carta, soltanto perché è la carta a dirlo” (p. 72). Se si vuole comprendere qualcosa di chi siamo e come vediamo il mondo bisogna leggere, soprattutto, il capitolo dieci del libro di Farinelli e sognare che l’autore possa accompagnarci in un luogo guidandoci con la sua prosa ammaliante. Il luogo è il Portico dell’Ospedale degli Innocenti, la prima architettura costruita secondo il principio prospettico moderno da Brunelleschi. Scrive Farinelli: “Se noi crediamo che più le cose sono lontane e più sono piccole, più sono vicine e più sono grandi, è soltanto perché siamo moderni, e soltanto perché vi sono stati un secolo e una città (il Quattrocento e Firenze) che hanno inventato un modello terribile, pervasivo, onnicomprensivo, il quale in epoca moderna avvolgerà tutto il globo: la prospettiva lineare, cioè il punto di vista spaziale…..” (p. 77). “E davvero è straordinario come alla fine, tutto sommato, la storia della conoscenza del mondo è una storia in cui due globi, due palle, due sfere, (quella della terra e quella del nostro occhio) facciano tanta fatica a riconoscersi, a mettersi in contatto, per così dire, e a guardarsi come davvero sono”. Da allora l’occhio diventa autonomo e quel divorzio tra gli occhi e gli altri sensi diventa sempre più insanabile. Abbiamo per quella via colonizzato il mondo e il modo in cui ce lo immaginiamo. Almeno dall’età di Pericle in avanti, colonizzare significa non solo occupare materialmente una porzione di Terra, ma anche colonizzare a distanza tramite i modelli mentali che adoperiamo. Il formidabile modello mentale della prospettiva è divenuto il modello con cui inventiamo la Terra: “il più completo e totalitario che esiste, proprio perché è insieme un modello di costruzione del mondo, di percezione del mondo, di rappresentazione del mondo. Di qui la sua straordinaria potenza”. (p. 95). Condotti per questa via narrativa avvolgente giungiamo con Farinelli fino alla globalizzazione. Qualunque cosa significhi globalizzazione, dice l’autore, vuol dire che non possiamo, oggi, più contare sulla mediazione cartografica, perché le direzioni non corrispondono più a relazioni fisse tra una parte e l’altra e siamo oggi nella condizione di dover urgentemente iniziare a reinventare la Terra stessa “attraverso altre logiche e altri modelli, anche se oggi è molto più difficile orientarsi nel pensare in nome di tutti gli esseri umani che tenendosi per mano continuano a girare in tondo e sono l’umanità” (p. 154). |