Donne. Vivere o procreare?
Di Ugo Morelli. Hic et Nunc Ma il destino delle donne è vivere o procreare? E quello degli uomini è amare o solo inseminare? Merita riflessioni e confronti la campagna ministeriale sulla fertilità e sul “giorno della fertilità”, come volgarmente risulta la traduzione del fastidioso anglismo “fertility day”. Vorremmo che le associazioni femminili e gli uomini sensibili delle nostre comunità ne parlassero. Potrebbe essere un’occasione per trasformare una brutta campagna pubblicitaria pubblica in un confronto utile. La prima questione che salta alla mente, dopo il tentativo di mettere da parte la bruttezza dell’intera operazione, è la rilevanza della questione demografica e della natalità. Non si può evitare una domanda: la demografia e la natalità, oggi, devono essere ancora analizzate all’interno dei confini nazionali. Si tratta di una domanda difficile che fa riferimento a uno dei più scottanti problemi del nostro tempo: l’iniqua distribuzione delle risorse e le migrazioni per ragioni economiche e politiche, a fronte della sovrappopolazione mondiale. I bambini non sono tutti uguali: muoiono in mare o nelle guerre o per fame e carestie; oppure sono iperprotetti e ipertutelati. Dobbiamo ancora stimare l’equilibrio demo-economico all’interno dei confini statali o quei confini sono superati dal commercio, dalla mobilità delle persone, dalla finanza, dall’integrazione e ibridazione delle culture? Sicuramente il calo della natalità in un paese che si situa in quel campo agli ultimi posti in Europa, è una questione rilevante. Un’analisi più attenta però potrebbe aiutare a non confondere le cause con gli effetti. Il lavoro delle donne è un diritto, fonte di libertà ed emancipazione. Per lavorare, le donne hanno bisogno di servizi adeguati per il sostegno alla crescita dei figli e il paese, ma anche le nostre realtà locali, non brillano per gli investimenti in quei servizi. La fatica per l’affermazione individuale per una donna è tripla o quadrupla rispetto al percorso di un uomo e chi in parte ce la fa, si trova a gestire contemporaneamente i figli, il lavoro e la casa. A meno di non voler richiamare, come purtroppo richiama, le “fattrici” di triste memoria, quella campagna è a dir poco improvvisata. Nello stile, poi, risulta una carrellata dei più tristi stereotipi della questione di genere. Dall’età, alle immagini che veicola sui rapporti sessuali ma, soprattutto, perché non mette al centro l’amore e la gioia di amarsi, condizione essenziale per ogni maternità e paternità. O i figli basta farli, e poi come crescono, crescono?. Varrebbe perciò la pena che si alzasse la voce di noi tutti, donne e uomini, approfittando dell’occasione per ricollocare la questione. Solo in una prospettiva aperta alla giustizia nella distribuzione delle risorse nel mondo e alle migrazioni; attenta al valore fondamentale dell’emancipazione e della libertà femminili; orientata non solo alla nascita ma alla qualità della vita e dell’educazione di chi nasce; disposta a investire nei servizi di sostegno alla crescita; solo in questa prospettiva assume valore parlare di natalità. Possibilmente con uno stile comunicativo più etico ed estetico. |