Violenza quotidiana, paura e vittimizzazione diffusa

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc


Siamo tutti vittime, sia che ci troviamo vicini o lontani dai fatti violenti e dai luoghi dove avvengono. Vittime anche della confusione e dell’incertezza di un governo e di una polizia come quelli tedeschi, come dice Gian Enrico Rusconi sul Corriere del Trentino, che mostrano incertezza e disorientamento di fronte a un tragico evento. Certo, essere coinvolti direttamente o indirettamente non è la stessa cosa, ma nessuno riesce a chiamarsi fuori da una vittimizzazione che ci raggiunge e opprime fino alla paura e all’incubo. La paura che diventa spesso panico, oltre agli effetti su ognuno di noi, produce una lacerazione del legame sociale e una sfiducia diffusa, con regressione nella solitudine individualistica, che è uno dei tratti caratterizzanti del tempo in cui viviamo. Le forme di solidarietà e la generatività sociale che hanno caratterizzato nel tempo società solidaristiche come quelle locali combattono questa deriva, ma a loro volta ne sono interessate e definite, se non altro per differenza. Gli eventi di piazza Santa Maria a Trento lasciano un segno profondo che fa dire: “anche qui” e produce una generalizzazione molto pericolosa. E sullo sfondo la fitta rete di guerre locali che, messe insieme, fanno una guerra mondiale in atto sotto altri aspetti e con altri mezzi rispetto a quelli noti. Il tutto servito, come si dice con un’espressione che toglie il respiro, “in tempo reale” dalla rete con le sue molteplici vie. Nella rete gli eventi violenti trovano la loro seconda e forse primaria affermazione. Per la rete e con la rete sono realizzati. È la rete che garantisce la gloria, forse il movente principale, a chi mette in atto azioni terroristiche e realizza violazioni del corpo e del mondo degli altri. La rete virtuale, in questi ambiti, mostra di surclassare la rete sociale che sarebbe in grado di alimentare il legame con gli altri. È da quella rete sociale, basata sull’attaccamento, che si possono creare percorsi di individuazione sufficientemente buoni. Proprio quella struttura di legame è attaccata dalla violenza diffusa e lo stato di paura e di vittimizzazione diretta e secondaria trova il suo principale protagonista nel circuito semiotico che informa di sé la lettura di ciò che accade, con l’accessibilità immediata e la acriticità dei giudizi immediati e autovalidantisi. L’ansia e la volontà di sapere sono, nella maggior parte dei casi, appagati e saturi, immediatamente soddisfatti senza spazio per la critica, l’approfondimento e la riflessione. Quel circuito semiotico coinvolge attori, informatori e informati in una sequenza circolare, appunto, che è principalmente orientata e dominata dalla conferma e non dalla verifica, che non ammette spazio al dubbio e crea opinione pubblica, magari instabile, ma provvisoriamente fondata sulla presunzione di certezza; una certezza che peraltro rassicura. Il contrasto fra le aspettative di affermazione individuale, spesso narcisistiche, e la quotidianità offesa dalla violenza costante è molto elevato e prostra in maniera più o meno incisiva la maggior parte delle persone. Non siamo esattamente nella società che Martha Nussbaum ha invocato in una recente intervista a The New Yorker del 25 luglio 2016, “una società di cittadini che ammettono di essere bisognosi e vulnerabili”.