Non è acqua fresca
Di Ugo Morelli. Hic et Nunc Viviamo in un tempo in cui le denunce, anziché attivare le coscienze, sembrano fare da propaganda ai problemi. E tuttavia è difficile astenersi da un senso di indignazione e disorientamento di fronte ai dati sull’inquinamento dei corsi d’acqua in Trentino. Se solo quattro regioni in Italia fanno peggio del Trentino, e se le acque di superficie risultano inquinate fra il 18 e il 23 per cento del totale, dobbiamo chiederci che rapporto c’è fra questi dati e la centralità del paesaggio, dell’ambiente e del territorio sia per la vivibilità che per l’economia. Sostenere che qui i dati sono rilevati con maggiore precisione non può bastare, se poi si verifica che in provincia sono acquistati 10 chilogrammi di pesticidi per ettaro, contro una media nazionale del 4,6. La reazione dei soggetti interessati alle cause dell’inquinamento, tra una generica risposta e l’altra, tra un palleggio di responsabilità e l’altro, mette come sempre al centro le ragioni del mercato, della concorrenza e della produzione agricola e industriale. Del resto col porfido era accaduta la stessa cosa, e oggi che quella monocoltura si è sgonfiata per incapacità innovativa, ci resta solo la devastazione che è sotto gli occhi di tutti. Siamo di fronte a una delle principali fonti di crisi della capacità democratica di decidere, in ragione del fatto che si mettono sempre davanti in maniera tecnocratica gli imperativi dei mercati, senza offrire di fatto alcuna critica o resistenza. Non solo. Spesso quelli che sembrano obiettivi di sviluppo di una parte, finiscono per agire negativamente sul sistema complessivo e non si vede di non vedere. In questo caso, ad esempio non si considerano gli effetti di simili situazioni sull’immagine del Trentino, sulla sua preferibilità turistica nel tempo e sull’identità ambientale e paesaggistica del territorio. I processi politico-decisionali si mostrano sconnessi dal bene pubblico e comune che dovrebbero tutelare. In questo scenario i riferimenti così esibiti e insistiti sui “valori comuni” rischiano di risuonare sempre più vuoti; di somigliare a spot pubblicitari a cui non corrispondono comportamenti effettivi. Si crea uno scarto pericoloso tra principi e valori dichiarati: i primi non sono affermati con coerenza nelle azioni e nei fatti; i secondi si svuotano quanto più sono dichiarati in ogni circostanza, ma rimangono semplici dichiarazioni, appunto. Sarebbe bene, per ragioni di vivibilità e salute dei residenti, oltre che per motivi civili ed economici, che non ci fosse uno scarto così evidente tra il dichiarato e l’effettivo. Quello scarto può essere molto costoso. Conviene da ogni punto di vista ascoltare il padre Dante, che dovrebbe inviare i suoi moniti dalla piazza omonima. Nel ventitreesimo canto dell’Inferno, infatti, egli scrive: “sì che dal fatto il dir non sia diverso”.
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