Conflitti sociali e lavoro

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc


Che ruolo possono avere i conflitti sociali, purchè ben gestiti, per riattivare un senso e un significato del lavoro, sottraendolo alla sua riduzione a merce?
La radicalizzazione del confronto sui temi del lavoro che si sta svolgendo in Francia può dire molto anche alla situazione italiana e ai suoi risvolti locali. Cerchiamo di capirci qualcosa.
Al di là degli interessi specifici di natura contrattuale le lotte sindacali in Francia riguardano quel senso e quel significato del lavoro per noi esseri umani, senza il quale l’opera dell’uomo si riduce a puro scambio basato sul prezzo.
Una società che vedesse prosciugato il valore del lavoro riducendolo solo allo scambio basato su una remunerazione, spesso di sopravvivenza, sarebbe una società invivibile. È necessario non dimenticare mai che il lavoro per noi esseri umani si situa al punto di incontro fra ciò che sentiamo di essere come persone e i modi in cui siamo riconosciuti dagli altri e dal mondo esterno.
Ognuno di noi ha bisogno di riconoscersi nell’opera che realizza e per farlo ha bisogno della conferma da parte degli altri. Il lavoro pertanto non è solo sostanza materiale finalizzata alla sopravvivenza, ma riguarda decisamente l’intensità con cui ci individuiamo e riconosciamo mediante l’opera e gli altri.
In tutti questi anni è proprio la questione appena posta ad essere stata trascurata. Con quella superficialità mista a indifferenza con la quale l’individualismo ha pervaso le nostre vite, abbiamo teso a ridurre il lavoro a una variabile secondaria soggetta a norme e trattamenti deterioranti. Ciò è accaduto prima di tutto con i provvedimenti normativi. Se era necessario mettere in discussione le rigidità e le staticità della normativa precedente, ciò poteva essere fatto senza creare una forte asimmetria tra domanda e offerta di lavoro, mettendo coloro che cercano lavoro in una condizione di diffusa precarietà, e coloro che lavorano in una condizione di quasi totale disponibilità e dipendenza.
In un epoca in cui l’evoluzione tecnologica determina ampi processi di espulsione di mano d’opera e di riduzione delle esigenze di persone nel processo produttivo, i provvedimenti istituzionali si sono limitati ad assecondare la precarietà, soprattutto giovanile, rendendo del tutto fungibile il fattore lavoro e riducendolo a una risorsa strumentale.
E’ inimmaginabile che questo stato di cose si converta, assumendo peraltro l’obiettivo generale di mettere mano a un diverso e più appropriato modello di sviluppo, senza un impegno tenace e determinato da parte dei lavoratori e di coloro che il lavoro lo cercano.
Si tratta di un confronto di civiltà che dovrebbe avere al centro il senso, il significato e il valore del lavoro per la vita e la civiltà umane sia a livello individuale che collettivo. La capacità di gestire bene il conflitto, inteso come confronto tra differenti punti di vista, può essere guidata dalla determinazione, senza scadere in antagonismi populisti. Se ciò accadrà, come è auspicabile, anche le nostre realtà locali potranno trarne indicazioni e orientamenti per l’azione.