Regole e civiltà

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Se è vero che viviamo in un mondo digitale gestito da cervelli a vapore, non perdiamo occasione per confermarlo. Non ci sarebbe da meravigliarsi, quindi, se non sappiamo distinguere tra un’esigenza di autorealizzazione individuale, per esempio quella di formarsi studiando, di comunicare con i propri parenti nel luogo di provenienza, o di avere un’assistenza sanitaria, o di avere un lavoro, e il pericolo che ci deriva dalla presenza dei profughi. L’ansia e la paura per il terrorismo e il bisogno di un capro espiatorio per far fronte ai nostri vuoti di senso, ci accecano. Se quelle esigenze fossero state espresse da persone nate qui, figlie di famiglie locali, avremmo reagito allo stesso modo? No. E allora c’è molto da meravigliarsi. E preoccuparsi. Ancora una volta non sono in discussione il rispetto delle regole e il mantenimento dell’ordine. Le regole sono da rispettare e non è neppure il caso di parlarne. Semmai dobbiamo chiederci che cosa stiamo facendo per socializzare ed educare coloro che arrivano alla comprensione elementare delle nostre regole di convivenza. Molto poco. Si va dall’accettazione indiscriminata e ideologica degli arrivi alle forme più retrive di xenofobia. Possibile che si pensi agli immigrati e ai profughi come non-persone? Come esseri umani che non dovrebbero avere aspettative? Possibile che tornino ripetutamente i soliti triti stereotipi? È così difficile comprendere che cosa significa un telefono cellulare per un profugo o un immigrato? Quello strumento contiene, spesso, l’unica via per connettersi al mondo di provenienza e ai propri cari. Contiene l’unica via per cercare di affrontare la struggente malinconia della lontananza, o semplicemente per sapere se genitori, sorelle, fratelli, figli, compagni, compagne, sono ancora vivi o morti. Eppure assistiamo, come in via Brennero, ad un accanimento eccessivo, con risonanze nei commenti, ancora una volta da parte delle massime cariche istituzionali, che non invitano al dialogo, che non parlano di solidarietà né di accoglienza. Interventi sparsi con un vociare da fiera che mostrano muscoli ed esibiscono regole. Non si sta sostenendo che sia legittimo bloccare una strada. Si sta parlando dell’accanimento con cui tutti, ma proprio tutti, si sono precipitati sul posto muniti di cellulari per fotografarsi e fotografare e, finalmente, mostrarsi tutori della nostra presunta superiorità, tutori integrali del nostro territorio, difensori della nostra chiusura. Tutto questo mentre si ripete che siamo stati i primi nell’accoglienza e che siamo il solito esempio nazionale di disponibilità e superiorità. Il misto di moralismo e xenofobia non ci porterà da nessuna parte. Lasciando da parte i razzisti che conosciamo e da cui non ci aspettiamo nulla, vorremmo dalle istituzioni e da noi stessi saldezza di nervi, rigore normativo e civiltà delle relazioni con ogni essere umano che viva nella nostra società.