Essere al limite *

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Occorre domandarsi perché il limite ci fa così paura e ci suscita un effetto di presa di distanza. Se le evidenze dei nostri limiti e delle nostre esperienze non bastano per farci accettare la rilevanza del limite, bisogna, insomma, chiedersi perché. Facciamo un esempio: ognuno di noi sa che quando si accende la spia della riserva di carburante in automobile ci troviamo di fronte a un limite di chilometri percorribili e che è necessario fare rifornimento. Quel limite è anche la nostra possibilità di organizzarci per continuare il viaggio. Esiste un giorno dell'anno in cui, in base a precisi calcoli statistici, iniziamo a consumare risorse del pianeta Terra che non si rinnovano; in cui cioè usiamo la riserva (Overshoot Day). Quel giorno si anticipa di anno in anno. Quest’anno cade all’inizio di aprile e anche per questo l’associazione Territoriali/Europei ha organizzato un incontro: Le possibilità del limite, a Rovereto. Interrogarsi sull'insostenibilità della nostra impronta ecologica, cioè su quanto ognuno di noi incide nel consumo di risorse, e sui rischi correlati a una sua non decisiva e non immediata messa in discussione, significa porsi una delle più importanti questioni del nostro tempo. Al limite - concetto al quale la retorica del progresso e della crescita ci ha disabituato - riconosciamo un significato prevalentemente negativo, perché associamo alla parola un senso di privazione. Ciò sembra accadere per una ragione profonda con la quale bisogna fare i conti. Per noi esseri umani che non solo viviamo ma siamo consapevoli di vivere, che non solo sappiamo ma sappiamo di sapere, il limite richiama inevitabilmente la finitudine della vita. E siccome noi siamo capaci di concepire l’infinito e tendiamo a vivere, non è facile fare i conti con il limite. Siamo messi di fronte alla nostra fragilità e cerchiamo in ogni modo di negarla. Si aggiunga a questo una cultura dominante tutta protesa a celebrare l’individualismo e il giovanilismo, fino a forme di esasperazione narcisistica, e l’accoglienza del limite si trova senza terreno sotto i piedi. Accade inoltre che la portata dei problemi che abbiamo di fronte sia davvero enorme. Divenirne consapevoli è necessario ma non può bastare per cambiare. La consapevolezza spesso è un modo per mettere da parte il problema e lasciare le cose come stanno. Solo un forte investimento personale e collettivo per trascendere questi vincoli che sono sia interni che esterni può condurci a un cambiamento che oggi è urgente e necessario. È decisivo concentrarsi sulle possibilità che si generano riprendendo in considerazione il limite, accorgendosi finalmente che non ci sono possibilità senza limiti e dando spazio agli scenari che si possono aprire in termini di sviluppo e vivibilità.

*Corriere del Trentino, 16 aprile 2016