Precariato lavorativo e esclusione dei giovani *
Di Ugo Morelli. Hic et Nunc Se non accade di potersi intendere completamente e fino in fondo, possiamo perlomeno approssimarci e comprenderci. In parte ci fra-intenderemo ma, se avremo pazienza e disponibilità ad ascoltarci, potremo fare qualche passo in avanti. Non è quello che accade a proposito dei provvedimenti e delle scelte riguardo al lavoro. Mentre tutti plaudono al Papa, che nel recente incontro con gli imprenditori ha chiesto che al centro dell’impresa e dell’economia ci sia l’uomo, aggiungendo che “troppi giovani sono prigionieri della precarietà”, il fraintendimento sulla crisi profonda di inserimento lavorativo e spazio sociale per i giovani, continua. Non ci stiamo capendo con più di una generazione di giovani e l’indifferenza e l’esclusione si intensificano senza sosta. La crescita vertiginosa del ricorso ai voucher, in particolare nel turismo e nel commercio in Trentino e in Alto Adige, come documenta Il Corriere del Trentino di domenica, è un indicatore evidente della gravità del problema. Giustamente il segretario della Uil trentina Walter Alotti parla di “una nuova forma di precariato”. Il fatto è che di fronte al fallimento di Garanzia giovani e dei contratti di apprendistato, il voucher diventa l’ultima spiaggia, un rifugio al limite della emarginazione. Qual è il cuore della questione? L’affermazione di una forma di impiego in cui è del tutto assente ogni tipo di reciprocità. L’impresa che utilizza un collaboratore mediante il voucher non è impegnata in nessun modo in una relazione lavorativa. Né dal punto di vista dei diritti dei lavoratori; né con qualche forma contrattuale, e nemmeno garantendo in qualche modo un contributo. Il lavoro in questo modo diventa una concessione caritatistica con il carattere di una relazione totalmente asimmetrica. Come abbiamo rilevato studiando il fenomeno degli effetti psichici del lavoro precario, il lavoratore in queste condizioni vive in uno stato di paura e di ansia e non è in grado di pensarsi e di pensare a se stesso in termini progettuali anche minimi. Si trova in una condizione di esasperata concorrenza con i suoi simili e non trova forme di protezione da nessuna parte. È evidente, inoltre, che per queste vie non si parla neppure di crescita di professionalità o di aumento del know-how dei lavoratori e delle imprese. Il costo sociale del futuro di questi lavoratori sarà estremamente problematico non maturando nessuna forma di tutela. Un opportunismo di respiro molto corto e una visione brevissima delle strategie (si fa per dire) delle imprese, appare molto distante da qualunque attenzione al rapporto tra etica ed economia, e da qualunque orientamento al dialogo tra le componenti sociali per la creazione di una società civile degna di tale nome. Arrestare la precarietà e la precarizzazione dovrebbe essere un obiettivo civile e sociale, prima ancora che economico. *Corriere del Trentino |