L'altra metà del cielo *

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

È l’amore materno che dà inizio e significato al percorso di individuazione di ognuno di noi. Nel giorno della festa delle donne dovremmo intenderci, per quanto possibile, sull’emancipazione femminile, a partire da questa semplice constatazione che ci riguarda tutti. “Abbiamo tutti l’ombelico”, diceva sempre Luigi Pagliarani, importante psicoanalista e maestro indimenticabile. Tutti, cioè, siamo figli e la recisione del cordone fisico apre alla creazione continua di un “cordone” affettivo e psichico di altrettanto importante portata. Non ci intenderemo mai perfettamente in ogni campo ma possiamo cercare di intenderci pur rispettando le ombre di ogni intendimento e comunicazione. Se avremo la pazienza di ascoltarci reciprocamente capiremo, finalmente, che la questione femminile non può essere ridotta a quote più o meno estese di handicap concessi, pur se possono essere rilevanti in un dato momento storico. Né può essere ricondotta a questioni di carriere e di collocazioni più o meno elevate nelle gerarchie amministrative, organizzative o istituzionali, anche se c’è molto da fare in questi campi in cui, il minimo che si possa dire è che, a livello locale, sarebbe stato possibile fare molto di più. Nella cooperazione, ad esempio, se si escludono alcune operazioni di facciata, di quelle che non si possono non fare per essere almeno politicamente corretti, l’esclusione femminile è stata ed è sistematica. Nei partiti politici e nella composizione degli organismi di governo le cose non sono certo andate meglio. Allora sarebbe davvero importante impegnarsi a celebrare ogni giorno l’otto marzo. Evitando due estremi inutili e dannosi. Da un lato la logica dello struzzo, facendo finta che il problema non esista. Dall’altro le mielose giaculatorie di noi maschi, “femministi” di circostanza, pronti a dichiarare e attenti a non agire di conseguenza. Non c’è solo una questione di perdita secca delle opportunità per tutti, a fronte della disuguaglianza di genere. Oggi c’è molto di più. Se consideriamo con un minimo di attenzione la dimensione affettiva e non solo il sesso e il genere, possiamo arrivare a chiederci da dove ci verrà una fonte di speranza per il presente e il futuro così intriso di barbarie, che stiamo vivendo e ci accingiamo a vivere. Ebbene l’arroganza guerrafondaia, la distruttività che prende piede, i pregiudizi etnici, i venti di guerra, l’esclusione e il respingimento di milioni di persone, preparano un tempo da brivido. Chi ci potrà salvare? Abbiamo bisogno di ascolto, di accoglienza, di riconoscimento delle nostre vulnerabilità, di disposizione al dialogo e di contenimento di noi e degli altri. Da quale dimensione affettiva può venire tutto questo? Dal dare voce ai codici affettivi femminili e materni di cui tutti disponiamo, donne e uomini, se non li censuriamo. E se non escludiamo l’altra metà del cielo, che può indicare luce e via a chi finora ha dominato la scena con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

*Corriere del Trentino