I valori degli altri

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Per chi voglia attraversare una porta stretta, è bene non dimenticare che gli stipiti sono duri, scrive Robert Musil ne “L’uomo senza qualità”. Se si vuole aiutare a prendere coscienza dei rischi del fuoco è verosimile immaginare che il mezzo più adatto non sia la benzina. Allora il tentativo di difendere il “suggerimento” di Filippo Degasperi, di dare da mangiare il maiale ai profughi, e di invitare a tornare da dove è venuto chi non lo gradisce, appare francamente peggiore della già grave affermazione. Come si dice in dialetto trentino: “l’è pezo el tacòn del bus”. Chi occupa una posizione di rappresentanza nel governo democratico ha la responsabilità di quello che dice, in quanto ha conseguenze che vanno al di là di posizioni personali. In tempi come questi abbiamo tutti il dovere di conoscere i valori degli altri, e di aiutare gli altri a conoscere i nostri. Non si tratta di affermare un facile relativismo, ma di andare oltre l’ignoranza che è la principale fonte di pregiudizio. “Il pregiudizio è un’antipatia fondata su una generalizzazione falsa e inflessibile. Può essere sentito internamente o espresso. Può essere diretto verso un gruppo nel suo complesso o verso un individuo in quanto membro di quel gruppo”. Così scriveva Gordon Allport nel 1954, in uno studio fondamentale sul pregiudizio. Siamo di fronte a una delle costanti del nostro modo di stare al mondo e, anche se ci stupiamo dei pregiudizi degli altri e non ci accorgiamo dei nostri o non li vogliamo ammettere, la questione ci riguarda tutti. Dei pregiudizi allora non siamo responsabili? No, non è così. Perché siamo responsabili di interrogarci sulle nostre convinzioni e le nostre certezze, soprattutto prima di esprimerle. Se poi un pregiudizio tende ad assumere le caratteristiche dello stereotipo, cioè della conferma consolidata delle convinzioni pregiudiziali contro ogni evidenza, allora si satura ogni possibilità di dubbio e l’unica via che prende piede è la certezza antagonistica “mors tua, vita mea”, con tutte le conseguenze del caso. Quando c’è uno stereotipo, è ammessa solo qualche eccezione del tutto casuale e improbabile, come quella che ha riguardato la mia esperienza all’inizio degli anni settanta in una Modena piena di immigrati meridionali, quando ho sentito la madre modenese di un mio compagno di università, sussurrare al marito: “è un meridionale ma è un bravo ragazzo”. O come è capitato a Moni Ovadia che, da ragazzo, si è sentito dire a Milano: “così giovane e già ebreo!” Laddove sono quel “ma” e quel “già” i fattori critici. Ogni pregiudizio o stereotipo si basa su una falsa e rigida generalizzazione, eppure in un modo o nell’altro ci riguarda e ne siamo portatori. Il presunto implicito è, purtroppo, sempre quello di poter fare a meno degli altri. Questo non è più possibile, oggi, e da qui bisognerebbe partire. Chi ci rappresenta ha maggiori responsabilità nell’andare oltre l’ignoranza.