L'accordo sul clima e noi

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Leggendo i 140 e i 24 articoli annessi dell’accordo emerso dalla 21a Conferenza mondiale sul clima, organizzata dalle Nazioni Unite che si è conclusa a Parigi, emergono tre sentimenti, in parte contrapposti. Si avverte, in tanti punti e articoli, la fatica di giungere a una decisione comune dopo una negoziazione estenuante. Così come bisogna riconoscere che questa volta, con tutti i limiti di un accordo complesso, non pare che la montagna abbia partorito un topolino. Accade anche nei modi di reagire tra noi che, nelle nostre realtà locali, mostriamo disorientamento di fronte ai problemi dell’ambiente e del clima, e parliamo e discutiamo, spesso in modi bizantini, senza trovare una via per cambiare idea e comportamenti. È e sarà difficile cambiare, come è accaduto ai negoziatori di Parigi. Del resto l’obiettivo di contenimento del global warming e delle emissioni di CO2 a cui volevano giungere era elevato e difficile da concordare. Allo stesso tempo non era facile trovare il modo di suddividere lo sforzo tra Paesi sviluppati e impoveriti. Né era agevole trovare i criteri per definire i finanziamenti ai paesi impoveriti per aiutarli ad affrontare la sfida. Queste macro questioni hanno corrispondenze precise nella situazione delle nostre comunità. Contenere il consumo di suolo, di acqua e di livelli di emissioni è anche un nostro problema; coordinare lo sforzo tra istituzioni e enti è una questione continua e difficile da affrontare e risolvere; riconvertire un intero modello di sviluppo richiede investimenti in conoscenza e in soluzioni innovative. Se si guardano gli elementi più importanti dell’accordo di Parigi, nei loro tratti più significativi si possono intravedere orientamenti utili per le scelte impegnative che abbiamo davanti. L’accordo pone l'obiettivo di fermare il riscaldamento “ben al di sotto dei 2°C” dai livelli preindustriali ma cita anche la volontà di contenerlo entro gli 1,5°C”; gli impegni nazionali saranno rivisti ogni 5 anni, ma solo per renderli più ambiziosi; sempre ogni 5 anni si farà il punto sui progressi fatti; si rafforza il meccanismo “Loss & Damage”, cioè le compensazioni economiche per aiutare i Paesi impoveriti: i 100 miliardi di dollari all'anno saranno solo una base di partenza. Il principio di gradualità è evidente e da esso può prendere le mosse una strategia incrementale che porti a risultati concreti. Rimangono certamente molti meccanismi da definire e andranno messi a punto nel tempo: quelli sulla cooperazione internazionale, sull'adattamento, sul trasferimento tecnologico e sugli aspetti finanziari. La strada è lunga e legata alla volontà dei singoli governi, che secondo questo accordo, senza alcun vincolo giuridico-legale, non saranno sanzionati in caso di non raggiungimento degli obiettivi da loro stessi indicati. Il principio di responsabilità è quello che dovrebbe prevalere, quindi, e qui, ognuno, dai singoli alle collettività, a livello locale e globale, dovrà fare la propria parte.