Una bella differenza

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Provate a immaginare una scuola in cui s’insegni agli scolari che i colori sono solo due: il bianco e il nero. Se qualcuno dice che esistono anche il giallo, il verde, il rosso o altri colori, è immediatamente indicato come un problema. Gli si dice che deve farsi curare. Si assume nei suoi confronti un atteggiamento di commiserazione. Non si capisce come faccia ad avere in mente certe cose. Nel giro di poco tempo è deriso e emarginato. Cosa pensereste di una scuola così? Ci mandereste i vostri figli? Vi chiedereste come mai negano l’evidenza? Ebbene prendete ora i colori e sostituiteli con il genere. Se i sessi sono due, il genere è plurale. Nessuna persona di buon senso, non solo gli studiosi, nega più questa evidenza. La ragione è semplice: il sesso è impresso al momento del concepimento; il genere è frutto del processo di individuazione, di quel percorso attraverso cui ognuno di noi diventa quello che è. E qui, lo sappiamo, c’entrano le relazioni, da ancor prima della nascita fino alla primissima infanzia e dopo. C’entra l’attaccamento con la madre e con le persone che si prendono cura di ognuno di noi. Difficile da definire quello che accade in percorsi così delicati. Certo è che se uno di noi riesce ad abbracciare un amico o un’amica, essendo maschio o femmina, o gli dà solo la mano, o si innamora di lui o di lei, pare che dipenda dalla nostra storia affettiva. Ma allora perché vogliamo ridurre il mondo intero delle possibilità di essere in infiniti modi differenti, a due sole, ritenendo tutto il resto patologico o malato? E, soprattutto, perché, oltre a pensarla così, vogliamo costringere altri, bambini e adolescenti, a pensare come noi? Costringere, certo; perché quella non è educazione. Educare vuol dire facilitare l’espressione di sé, non reprimerla. Vuol dire agire per aumentare il numero delle possibilità, non per ridurle. Come è possibile allora che un’istituzione educativa di ispirazione cattolica, l’Arcivescovile, molto famosa in Trentino, diffonda, imponendolo, un libro che definisce l’omosessualità “un disordine nella costruzione della propria identità”? Come è possibile che in quel libro si dica che “l’omosessuale deve cercare di padroneggiarsi e puntare a vivere la sessualità senza atti sessuali”? Al di là della chicca del comando ineseguibile, “vivere la sessualità senza atti sessuali”, ultimamente la tradizione cattolica sta valorizzando la nostra natura e la salvaguardia della biodiversità. L’enciclica “Laudato sì” dell’attuale pontefice ne è una prova. Perché allora chi sente e vive in modo plurale la propria esperienza sarebbe contro natura? Non appartiene forse al sistema vivente che è fatto di differenze che generano differenze? Aiutateci per favore. Dobbiamo o non dobbiamo amare il creato? O ci sono esseri viventi non creati da Dio?