L'ambiente e noi
Di Ugo Morelli. Hic et Nunc Quale atteggiamento dovrebbe guidare un progetto di emancipazione, viene da chiedersi, al fine di essere più efficace possibile? Il meno che si possa dire è che se una persona o un collettivo vogliono emanciparsi non è sufficiente la via semplice del “basta volerlo”. La volontà, che certamente c’entra quando si vuole produrre un cambiamento, non è sufficiente perché quel cambiamento si produca davvero. Insomma l’ottimismo della volontà è di sicuro una buona cosa, purchè non vada a discapito del pessimismo della ragione, che ci insegna che buona parte di quello che facciamo, a livello individuale e collettivo, è inconscio, non lo controlliamo come spesso riteniamo di fare, e determina una parte importante delle nostre scelte. Il pessimismo della ragione ci può aiutare a comprendere: ciò non è molto, e non sempre basta per cambiare le cose, ma è la più elevata possibilità che abbiamo come esseri umani. Allora chi voglia, come Luigi Casanova che interviene su questo giornale sul tema dell’ambiente, dei parchi e della salvaguardia della natura, ottenere risultati concreti e innovativi, mentre esprime una volontà importante e che merita profondo rispetto per impegno e costanza, dovrebbe ascoltare e comprendere anche le difese, le resistenze e i rifiuti che certe posizioni massimaliste provocano, quando non istigano orientamenti contrari. La maggior parte delle persone mostra di essere alienata rispetto ai temi dell’ecologia, dell’ambiente, della natura e del paesaggio. Tanto ne parlammo che rischiamo l’oblio. È quella che in una ricerca abbiamo riconosciuto come la “sindrome Titanic”: a chi diceva che c’era un iceberg sulla rotta si rispose che intanto era meglio stappare ancora una bottiglia di champagne. Dobbiamo chiederci perché e a causa di quali radicalismi ideologici si genera questa situazione. È, inoltre, necessario considerare la dipendenza che noi tutti abbiamo dall’attuale sistema di vita. Vivere come viviamo oggi, senza darci limiti, risulta agli occhi della maggioranza assolutamente vantaggioso. Si aggiunga a questo la prevalenza della forza dell’abitudine e la scelta dominante per il quieto vivere, e si possono così vedere all’opera quelle che chiamiamo “le buone ragioni degli altri”, che non sono “buone” in sé, ma risultano tali dal loro punto di vista. Senza affrontare quelle ragioni, farcene carico, e proporre vantaggi alternativi riconoscibili, chi vuole cambiare rischia una posizione aristocratica e potenzialmente perdente. L’alienazione e la dipendenza sono elementi costitutivi della natura umana e da essi non si può prescindere. Non tenere presenti questi aspetti e non cercare un dialogo anche conflittuale, se necessario, al fine di conquistare una posizione sub-ottimale terza rispetto all’una e all’altra, può voler dire compromettere la riuscita degli stessi progetti emancipativi e di cambiamento che si vogliono portare avanti. |