Genere e mobilità sociale *
Di Ugo Morelli. Hic et Nunc Che rapporto c’è tra il genere e la mobilità sociale? Essere uomini o essere donne come incide, nella nostra società, sul rapporto tra capacità e opportunità? Insomma, possiamo sostenere che se una persona ha certe capacità, che sia uomo o sia donna, ha le stesse opportunità di esprimerle e realizzarsi? Per contribuire al confronto sulla mobilità sociale, il tema del Festival dell’Economia di quest’anno, sembra importante domandarsi che rapporto c’è tra i ruoli di genere, i codici affettivi maschili e femminili, e le dinamiche di potere, come barriere alla mobilità sociale. L’esclusione delle donne dalle opportunità è ampiamente documentata e la disuguaglianza tra uomini e donne nei percorsi di autorealizzazione è diffusa ad ogni livello della nostra società. Un buon punto di partenza consiste nel chiedersi quali e quanti sono i costi dell’esclusione femminile. Si tratta di costi economici e sociali, personali ed etici. Non valorizzare gli investimenti in istruzione e formazione delle donne è uno dei costi principali; così come la non accoglienza delle caratteristiche distintive degli stili femminili nei luoghi di lavoro vuol dire perdere la metà delle possibilità di produrre qualità ed efficacia. Allo stesso tempo la separatezza dei ruoli in famiglia e nel lavoro fa perdere sia al genere maschile che al genere femminile le opportunità di esprimere le proprie parti tenute a tacere. È però necessario liberarsi dalle ideologie sull’uguaglianza di genere per arrivare a creare relazioni e processi in grado di valorizzare le differenze. I fattori da considerare, infatti, non sono due ma tre. Non c’è solo il sesso e il genere, ma rilevante, e molto, è l’affettività; importanti sono i codici affettivi, le vie di accesso agli altri nelle relazioni. Il sesso si acquisisce al momento del concepimento; il genere è influenzato dai contesti sociali e dall’educazione; i codici affettivi sono la parte più profonda di noi, e tutti, maschi e femmine, disponiamo di codici materni e paterni, maschili e femminili che possiamo esprimere o mettere a tacere. Quando un uomo si prende cura di un’altra persona esprime un codice materno; quando una donna dà un ordine o un’indicazione manifesta un codice paterno. Per cui, a proposito di mobilità sociale, non avremo una società più giusta quando ci saranno più donne al comando, se le donne per farcela imitano gli stili maschili; ma solo quando donne e uomini diverranno disposti e capaci a esprimere e utilizzare sia codici affettivi maschili che femminili. Servono concrete strategie locali e azioni operative per cambiare le cose: nelle singole situazioni familiari, lavorative e istituzionali si possono creare le condizioni per l’uguaglianza delle opportunità e per un’espressione plurale di stili e codici differenti. Sarà una società più ricca e una vita più bella. *Corriere del Trentino, 30 maggio 2015 |