Emanuela Fellin su Il conflitto generativo di Ugo Morelli
Hic et Nunc
Ugo Morelli, Il conflitto generativo. La responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell’indifferenza, Città Nuova Editrice, Roma 2014.
di Emanuela Fellin*
Ormai da qualche mese rifletto sui temi trattati in modo così potente e puntuale nell’ultimo lavoro di Ugo Morelli, riflettendo sui contenuti che si intrecciano sapientemente con la quotidianità del mio lavoro di pedagogista clinica.
Fin dal titolo le domande che hanno interessato la riflessione riguardano proprio la possibilità di cambiare punto di vista riguardo ad un tema che ha sempre avuto una connotazione negativa. Può il conflitto generare modalità creative e innovative, strategie evolute e inediti punti di vista, attraverso il dialogo, la comunicazione, il confronto? Tutto ciò anche riconoscendo le affinità semantiche, le vicinanze di significato, tra “conflitto”, “dialogo”, “confronto”, “incontro”.
Prendo spunto dall’aneddoto dell’arancia riportato nel saggio, con cui viene narrata una situazione, come molte altre che accadono quotidianamente, tra due sorelle che si contendono il frutto. Entrambe vogliono utilizzare l’unica arancia disponibile e nessuna delle due intende rinunciare. Interviene la madre che, con una domanda, cambia il senso delle posizioni antagonistiche delle figlie. Nel momento in cui chiede loro che cosa vogliono fare con quell’arancia, la prima figlia dice di voler fare una spremuta e l’altra afferma di aver bisogno della buccia per preparare un dolce. Il dialogo e la mediazione in questo caso hanno aiutato ad affrontare un conflitto che rischiava di degenerare in antagonismo.
Diviene pertanto fondamentale considerare la posizione assunta dal “mediatore”, che prende il ruolo del “terzo”, ricoprendo una posizione fondamentale nella elaborazione e gestione dei conflitti.
Citiamo pertanto alcuni dei riferimenti fondamentali che hanno affrontato e studiato questo tema.
Thomas Schelling, premio Nobel per l’Economia, in The Strategy of conflict, del 1960, ha evidenziato la rilevanza del ruolo del terzo nella elaborazione delle situazioni conflittuali.
Una posizione relativamente neutrale che faciliti il riconoscimento di almeno un fattore comune pur nella differenza di punti di vista e interessi, di identità e di culture.
Norberto Bobbio, importante studioso di diritto e di scienze politiche, nei suoi studi sulla guerra e sulla pace, in particolare nel libro “Il problema della guerra e le vie della pace” del 1979, sottolinea la rilevanza della mediazione e della necessità della “terzietà” nella elaborazione delle situazione conflittuali, se si vuole evitare che degradino in antagonismo.
Donald Winnicot, uno dei massimi studiosi dello sviluppo umano, pediatra e psicoanalista, ha sottolineato in più lavori, e in particolare in “Gioco e realtà” del 1971, la rilevanza delle situazioni conflittuali, dal gioco alle relazioni, per l’accesso alla generatività e alla creatività.
Alla luce di quanto detto è indispensabile ripensare al concetto di educare (dal lat. educare, intens. di educĕre “trarre fuori, allevare”), in un periodo storico in cui questo termine è utilizzato in maniera riduttiva, spesso errata ed errante, legato alle vicissitudini che stanno interessando diverse zone del pianeta, un tempo in cui comandano principalmente paura e indifferenza; nel mondo tecnologico e mediatico di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, lo scontro, a volte anche violento e spoglio di relazioni, è all’ordine del giorno, palesato con preoccupante normalità.
Sono proprio le relazioni il terreno fertile su cui poter riflettere ed educare ad una prospettiva di cambiamento possibile e non certo facile da perseguire.
Il ruolo del terzo ha quindi la funzione di mediare educando ad una gestione efficace del conflitto. Genitori, insegnanti, adulti hanno nei confronti di bambini e bambine, ragazze e ragazzi, questa responsabilità. Leggendo attentamente il saggio di Ugo Morelli, nel XIV° capitolo troviamo venticinque condizioni per gestire efficacemente il conflitto.
Ripercorrendo le numerose situazioni in cui mi sono trovata ad osservare conflitti più o meno dichiarati in ambito scolastico e famigliare, cercherò ora di creare un filo conduttore che porta ad un ragionamento che accomuna alcune di queste modalità di azione, volte a riconoscere vincoli e opportunità di elaborazione del conflitto nel rapporto tra dinamica dei processi di gestione e situazioni di incertezza. Partirò quindi da una domanda di aiuto di due genitori che si presentano in studio perché la figlia di 13 anni ha scelto una scuola superiore che a loro non piace. I genitori sono fermamente convinti che la figlia deve frequentare un liceo, scientifico o linguistico, e non una scuola ad indirizzo turistico, poco spendibile una volta diplomata. I genitori credono che la scelta sia dettata dal fatto che tale scuola sarà frequentata dall’amica e quindi l’unico criterio di scelta è stato un rapporto amicale e non un orientamento individuale della ragazzina, sottolineando inoltre che a 13 anni non si è in grado di scegliere e che i genitori sanno cosa è meglio per i figli, soprattutto in scelte così importanti.
In questo caso diventa importante riconoscere che una decisione è sempre interdipendente e coinvolge la rete di relazioni presenti. Spostare l’attenzione dal soggetto alla relazione risulta una delle condizioni essenziali per accedere al conflitto.
I genitori sono stati invitati a riflettere considerando che aspettative diverse possono diventare reciproche, combinandosi in alcuni aspetti, non in tutti. Come scrive Ugo Morelli, una buona gestione del conflitto trova le proprie opportunità nella disposizione ad agire sulla parte, che rappresenta lo spazio comune sul quale è possibile costruire un’estensione delle possibilità di dialogo, confronto e ricerca.
Nel caso specifico i genitori sono stati accompagnati a ricercare, valorizzandola, l’esistenza di almeno un interesse comune. Non è sicuramente facile da cercare e riconoscere, a volte si tratta di arretrare rispetto alle posizioni assunte quando il conflitto è insorto. Arretrando può accadere che si riconosca proprio l’interesse comune sopracitato, evitando così un degrado antagonistico.
Un’attenzione da porre riguarda l’importanza di sviluppare cura al campo relazionale curando le interdipendenza. Nel caso riportato, durante i colloqui, i genitori venivano continuamente ricondotti a prestare attenzione al punto di vista dell’altro, in questo caso della figlia, evitando di negarlo, giudicarlo o prevaricarlo.
Il fattore tempo è stato decisivo in questo percorso, tempo in cui non sempre è facile ricavarlo per dedicare attenzione alla considerazione delle scoperte emergenti, alla loro elaborazione e alla loro collocazione nella dinamica comunicativa e relazione in corso.
Decisivo in qualsiasi situazione conflittuale, diventa il dare valore a ciò che appare inutile e rituale. Come sottolinea Ugo Morelli i rituali, nelle relazioni umane e nell’esperienza, svolgono una funzione appagante e rassicurante rispetto all’ansia, permettono di riconoscersi nelle situazioni che si stanno vivendo e nella loro dimensione simbolica, generando un senso di appartenenza alla situazione stessa.
In qualsiasi contesto educativo il fattore che ritengo utile sottolineare è prestare attenzione e cura alla sospensione della dinamica di gestione del conflitto in corso. È meglio una sospensione provvisoria che una tensione che rischi la rottura!
La difficoltà maggiore riscontrata è legata all’origine dei processi antagonistici. Come esplicita Ugo Morelli, chi è coinvolto nella gestione di un processo conflittuale in realtà si muove all’interno di margini che possono essere anche molto ristretti.
Leggendo le condizioni riportate nel libro ho posto molta attenzione alla quindicesima di esse, ritenendola una delle più rilevanti soprattutto, ma non solo, nei contesti educativi. L’importanza di evidenziare con cura e attenzione segnali attendibili che vengono riconosciuti come prese di posizione in grado di incidere e influenzare le posizioni in gioco. Per essere tali sono quasi sempre costosi per chi li mette in atto, rappresentando un investimento per chi li esprime e una fonte di attenzione e riconoscimento per chi li riceve.
L’esigenza di dare valore alle competenze presenti, che possono contribuire ad una buona elaborazione del conflitto, aiutano a ridefinire un campo di interesse comune nel corso della dinamica conflittuale. Ritornando al nostro caso, l’ascolto delle motivazioni che hanno spinto la ragazzina a scegliere quella scuola, legate alla paura ad affrontare una scuola impegnativa, ha portato i genitori a riflettere sulla loro aspettativa legata ad una scelta migliore per lei. Individuando questo aspetto si è potuto lavorare invece sulle sue competenze e abilità potenziando invece quelli che sono stati individuati come aspetti critici, legati ad un metodo di studio assente. Questo è ciò che Ugo Morelli chiama la condizione chiave nella gestione delle situazioni conflittuali. Si tratta dell’esigenza e dell’importanza di agire su una parte per valorizzare le scoperte emergenti.
La famiglia ha passato mesi di profondi conflitti mal gestiti che hanno portato ad una sofferenza, incrinando il dialogo e la relazione con la figlia, che si rifiutava di parlare con loro di questo argomento, portandola quindi a mantenere la sua scelta come la migliore e indiscutibile. L’aspetto decisivo è stato ricondotto al contenimento degli effetti di rinforzo delle incertezze derivanti dall’esperienza passata.
Al termine del percorso educativo svolto in studio ha portato una rivalutazione delle dinamiche conflittuali emerse nel corso del tempo, valorizzando invece il riconoscimento dei risultati conseguiti, come base di partenza per il prosieguo del processo di elaborazione.
*Pedagogista clinica
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