La cultura: qualcuno ci sta pensando? Di Ugo Morelli. Hic et Nunc Se è vero, come ha scritto Virginia Woolf, che rendiamo reale il mondo esprimendolo in parole, che così gli diamo interezza, il silenzio programmatico su un disegno che riguardi la cultura in Trentino, appare allo stesso tempo irreale e assordante. Forse anche della cultura qualcuno dirà che ha cose più importanti di cui occuparsi. Peccato che si tratti, non solo di uno dei principali ambiti di investimento pubblico degli anni appena trascorsi, ma anche di un settore strategico per una società e un’economia locali come quella trentina. Quell’investimento, se non valorizzato con una strategia all’altezza della sua portata, rischia di produrre “cattedrali nel deserto” di seconda generazione. Eppure vi sono buone ragioni per occuparsene, e per farlo con orientamenti appropriati. In primo luogo vi è la rilevanza civile delle scelte culturali fatte. Aver visto nella cultura la via per l’emancipazione di una società locale è un merito indiscutibile. L’arte, la scienza, lo spettacolo dal vivo, il cinema, la musica, se sono del livello che devono essere, si propongono tra le principali vie per aumentare noi stessi, per estendere il dominio della nostra lettura del mondo, per renderci capaci di stare in questo nostro mondo da protagonisti e non da gregari, per essere attraenti in quanto luoghi di vivibilità e di opportunità. Si pensi solo al rapporto tra la consapevolezza della complessità del presente, gli orientamenti alla democrazia e il livello culturale di ognuno. È poi necessario fare chiarezza sulla rilevanza economica e sociale della cultura. Purtroppo proprio in questi giorni abbiamo sentito riparlare della “cultura come petrolio d’Italia”, in occasione della presenza della cancelliera tedesca Merkel a Firenze. Questo è un equivoco che ci portiamo dietro da tempo, e che per almeno due ragioni non secondarie andrebbe chiarito. La prima è che la cultura non è un bene riproducibile e il suo valore sta nella promozione della qualità umana e della bellezza dell’esistenza. La seconda è che la cultura che conta è quella che riusciamo a creare oggi, valorizzando anche i patrimoni del passato vissuti alla temperatura del presente, e non concependo quei patrimoni come beni seriali da vendere, per l’interesse di qualche categoria economica. Li svuoteremmo di senso e non avrebbero più valore. In Trentino le trasformazioni e le innovazioni necessarie dell’economia, in particolare di quella turistica, possono trovare nella cultura una realtà con cui dialogare, di grande importanza, con decisivi risultati attesi. Ma dialogare non vuol dire colonizzare, bensì rispettare le specificità. Per questo ci vuole pensiero, bisogna parlarne, pensare in termini di rete e creare una strategia. Qualcuno ci sta pensando? In Trentino????? No!!!!! |