Nati per contare
Giorgio Vallortigara e Nicla Panciera con Cervelli che contano mostrano come il senso del numero sia inscritto nella nostra evoluzione biologica.

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Se volete fare un’esperienza di lettura coinvolgente, tale da non riuscire a lasciare il libro prima dell’ultima riga, leggete Cervelli che contano di Giorgio Vallortigara e Nicla Panciera. Raramente un testo scientifico che affronta una questione decisiva per capire chi siamo riesce ad essere così profondo e divertente, nel senso più pieno della parola: ad aprire cioè nuove strade. Attenzione però: mentre capirete cose molto importanti di come siamo fatti, come pensiamo e contiamo, esaltandoci un po’ per la nostra meravigliosa macchina per pensare e per contare, il nostro cervello, vi potrebbe capitare di rimanere anche in parte depressi nello scoprire che non siamo gli unici, come esseri umani, ad avere certe capacità e che esiste, alfine, una continuità tra una rana e Talete e tra loro due e noi. Insomma un'altra spallata o ferita narcisistica alla nostra presunzione antropocentrica. Il libro di Vallortigara e Panciera è pubblicato in una delle più prestigiose collane, la Biblioteca scientifica di Adelphi, e si avvale di un ampio spettro di ricerche sperimentali, alcune condotte direttamente presso il CIMeC, il Centro Interdipartimentale Mente e Cervello di Rovereto. La scoperta del lato primitivo, arcaico, dei numeri reali, è di fatto un percorso esaltante per molte ragioni, la prima delle quali è il riconoscimento che agisce in noi per via naturale un prerequisito evolutivo che possiamo chiamare il “senso del numero”. L’affascinante serie di prove sperimentali che gli autori descrivono con chiarezza esemplare nel libro, dimostra come “la nostra conoscenza simbolica del numero poggia su qualcosa di più antico e profondo, una rappresentazione pre-verbale e pre-simbolica, analogica e approssimata che condividiamo con altre specie animali e che è presente nei bambini prima che sappiano parlare o che abbiano ricevuto un’istruzione matematica formale. Sembrerebbe dunque che il “senso del numero”, non verbale e non simbolico, sia davvero una competenza numerica, e non una capacità percettivo-sensoriale di altra natura”. Se c’è un modo per descrivere quello che sta accadendo nella ridefinizione del significato stesso di essere umani, grazie a ricerche sperimentali di neuroscienze cognitive negli ultimi anni, certamente il riconoscimento del corpo e della sua storia evolutiva è uno dei segni più rilevanti della svolta paradigmatica e delle relative ipotesi di ricerca. Ci stiamo rendendo conto di quanti limiti avessero le spiegazioni “mentaliste” del cognitivismo tradizionale, mentre riconosciamo la rilevanza della nostra cognizione incarnata. Allo stesso tempo abbiamo la straordinaria opportunità di accorgerci della nostra appartenenza al sistema delle specie viventi, con le nostre distinzioni, certo, ma parte del tutto evolutivo che è la vita sul pianeta Terra. L’individuazione di una nostra”qualità sensoriale primaria” che risponde al numero in modi affini a come rispondiamo agli stimoli visivi e acustici, è basata sull’evidenza che ci sono nel nostro cervello gruppi di cellule neuronali che selettivamente sono sensibili alla numerosità degli oggetti, a prescindere dalla loro grandezza, forma o posizione. Esistono, insomma, delle capacità inerenti alla nostra evoluzione e alla nostra natura che, seppur limitate, ci permettono di contare e orientarci nello spazio fin da bambini. Quelle capacità ci consentono di avere un “senso del numero” che risulta analogo a quello dello spazio e del tempo. Se è sostenibile, come risulta da una considerazione di Paul Dirac citata in ex-ergo dagli autori, che “le regole che il matematico trova interessanti sono quelle stesse che ha scelto la Natura”, allora quella che deriva dalla ricerca neuroscientifica contenuta in questo libro è una conferma importante: “Quello che abbiamo appreso dagli studi neurobiologici suggerisce che i numeri sono incarnati nell’attività fisica del cervello: la numerosità è un dato di esperienza primaria, come il colore o la posizione degli oggetti, ed è rappresentata direttamente dall’attività di singoli, specifici neuroni del lobo parietale”. Se la documentazione più antica nell’uso di simboli numerici esterni risale, in base alle evidenze archeologiche e paleoantropologiche a circa quarantamila anni fa e, comunque, in base a quello che sappiamo per ora, a non prima di circa settantacinquemila anni fa, è attendibile sostenere che “strutture nervose che erano già esistenti nei cervelli dei nostri antenati devono essersi fatte carico del nuovo sviluppo, del passaggio dalla numerosità approssimata al concetto di numero come entità discreta basata su simboli esterni”. Quelle strutture sono conosciute e sono documentate dagli autori: leggendo il libro comprendiamo come siano esse a dare vita allo sconfinato e affascinante territorio della matematica. Galileo aveva affermato che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico e oggi verifichiamo, grazie a ricerche come queste, che il linguaggio matematico è significativamente inscritto in noi e da noi emerge nelle sue forme simboliche che tanta parte hanno nelle dinamiche delle nostre vite.