Identità o somiglianza? Di Ugo Morelli. Hic et Nunc A volte vengono idee pericolose. Ma si sa, chi non risica non rosica. E se provassimo a sostituire la parola identità con la parola somiglianza? Ecco, ora l’ho detto. O come si dice in Trentino, ho messo il sedere sulle pedate. Perché ovviamente la parola identità è diventata un passe-partout soprattutto nell’agone politico e, in tempi di paura da globalizzazione, un rifugio per il sentire collettivo. È però anche una parola che richiama la famosa immagine di Hugo de Hoffmansthal in Lettera di Lord Chandos, dove parlando della consunzione delle parole, lo scrittore dice che nel tempo della crisi le parole ammuffiscono come funghi prima di uscire dalla bocca e assumere un significato condivisibile. Non sono poche le parole che usiamo in questo nostro tempo, che ne escono abusate, non più corrette nella sostanza, ma corrotte nel significato, e quindi di fatto inutilizzabili. La parola “identità”, ci pare segua una parabola simile. Tutti la usano, per dichiarare e sostenere tesi e posizioni tra loro molto diverse o addirittura contrarie. Ma non sarà allora che essa non indica quello che vorremmo attribuirle? Partiamo dal rapporto che ognuno di noi ha con se stesso. Quel rapporto è soltanto di somiglianza, non di identità. Noi, infatti, cambiamo e in continuazione. Cambiamo biologicamente, fisiologicamente e nei nostri comportamenti, nelle nostre preferenze, nelle nostre scelte. Ed è perché cambiamo che siamo vivi. Se smettessimo di cambiare non vivremmo più. Certamente rimaniamo noi stessi, ma di fatto oggi somigliamo al noi di ieri, con i cambiamenti, magari impercettibili, che si sono verificati nel frattempo, rendendoci vivi. È la stessa cosa che accade con le culture di appartenenza, anche quelle che hanno una storia abbastanza caratterizzata e preservata nel tempo, come può essere la cultura dell’autonomia trentina o sudtirolese. Per somigliarsi però, sia individualmente che collettivamente, bisogna anche differenziarsi. Come farei a riconoscermi senza distinguermi, nel vedere un altro? Accade allora che nel gioco senza fine del somigliarsi e differenziarsi si creino gruppi e comunità in cui, essendo le somiglianze più ricorrenti, si comincia a usare il “noi”. Quel “noi” si consolida nel tempo e dà vita alle appartenenze comunitarie. È un processo storico che porta a livelli anche elevati di condivisione, dove le somiglianze sono più dense. E qui arriviamo alla questione più importante. Quella densità si può affrontare e vivere secondo la via dell’ “identità” o secondo la via di una “politica delle somiglianze”. La prima via, quella dell’identità, somiglia a una strada dritta, dove camminano solo gli identici e si compiacciono di se stessi, ma non si accorgono di scivolare, un passo dopo l’altro, verso un vicolo cieco, dal quale escludere chi identico non è, rimanendo soli e di fatto esclusi. La seconda via, quella delle somiglianze, si vive in una rete in cui si riconoscono e valorizzano le somiglianze con le molteplici vie che ci si presentano, arricchendo noi e gli altri. E gli “altri” che ci somigliano non sono solo gli umani, ma il sistema vivente di cui siamo parte. Nama sonta, che vuol dire persona, per i Nayaka dell’India meridionale sono anche gli elefanti, gli alberi e le colline. La saggezza ha un cuore antico e la selva delle somiglianze promette futuro, laddove l’identità annichilisce su se stessa. |