Lavoro e libertà Di Ugo Morelli. Archivio Sezione Hic et Nunc La forza d’animo può determinare comportamenti che a prima vista possono apparire miracolosi o straordinari. Essa è mossa da una visione del mondo che riesce a tradursi in progetto e a trovare le condizioni per farsi riconoscere. Sul tema del lavoro oggi, manca quella forza d’animo e ci vorrebbero comportamenti straordinari per parlare un linguaggio in grado di svelare l’ideologia che si è affermata e che tutti più o meno condividono. Non si distinguono le realtà locali come la nostra, dove l’attenzione agli interventi di sostegno, come gli ammortizzatori o altre misure, sono pure presenti, ma la cornice generale non riesce a staccarsi dall’ideologia dominante. Il primo Maggio è un’occasione per provare a guardare in faccia quell’ideologia. “Il lavoro è un costo e bisogna ridurlo o abbatterlo”, è una prima componente di quell’ideologia. La condividono tutti ed è praticamente impossibile trovare qualcuno che dica: il lavoro è un valore individuale, sociale, civile ed economico. Nel lavoro ognuno trova il senso e il significato della propria capacità espressiva e del proprio riconoscimento; le competenze investite nel lavoro e l’espressione dei risultati qualificano una società e la distinguono per quello che è capace di essere e fare; attraverso il lavoro si diviene cittadini riconosciuti e consapevoli dei propri doveri e diritti; il lavoro umano, mai come oggi, è la principale fonte di ricchezza perché portatore della conoscenza incorporata da cui massimamente la ricchezza deriva. “Il lavoro, meglio se a termine, a progetto, stagionale”, in una parola precario, ma non è politicamente corretto dirlo, è un’altra componente di quella ideologia dominante. Non si vede che cosa significa un simile orientamento su almeno due aspetti del lavoro e del modello di sviluppo. In primo luogo si pregiudica l’accumulazione di capacità, competenze e conoscenze come patrimonio di un’azienda o di un’organizzazione; il lavoro diviene volatile e si disperdono i giacimenti di know-how che solo dal lavoro derivano; in secondo luogo si conferma l’abbassamento del livello di competenze necessarie per svolgere i lavori richiesti dal sistema delle aziende e delle organizzazioni presenti sul territorio. L’impoverimento progressivo del contenuto di conoscenza non può che emarginare i settori produttivi nel mondo attuale. “Il lavoro che conta, ma il lavoro in generale, meglio se maschio”, è un’altra componente diffusa, persistente e tenace dell’ideologia del lavoro dominante. Praticata in modo esplicito e appena appena velata dal malcelato pudore delle pari opportunità, un corollario dell’ideologia, questa componente assume forme inedite che si aggiungono alle discriminazioni del passato e le ampliano e confermano. Un esempio sono le cosiddette azioni di “conciliazione” che per ora creano, nella maggior parte dei casi, forme di discriminazione con “consenso” delle interessate. Miracoloso e straordinario sarebbe se il prossimo primo Maggio avessimo da festeggiare qualche svelamento e qualche smentita di questa ideologia.
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