Inventare e innovare: ci vuole il codice materno per concepire

Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

Ci sarà pure una ragione se è stata una donna a inventare la macchina lavapiatti, e sempre una donna ha inventato il tergicristalli delle automobili. Così ancora una donna ha inventato i pannolini per bambini, e un’altra donna inventò il correttore per la scrittura; come pure il materiale speciale salvavita con cui tra l’altro si fanno i giubbotti antiproiettile, è stato inventato da una donna. Concepire è un verbo importante. Non riguarda solo le donne ma la parte femminile di donne e uomini. Si tratta di una posizione, prima ancora che di un atteggiamento. È un modo di disporre il corpo e la mente di fronte al mondo. Ci vuole una disposizione all’accoglienza e poi l’intuizione si presenterà. Tutto dipende da una questione di soglia. Se quella soglia si rispetta, non la si forza e la si lascia agire in noi come sponda, prima o poi ci fornirà lo spunto per concepire quello che è richiesto in quella contingenza storica. Saper accogliere ed essere vulnerabili alle manifestazioni della realtà. A pensarci bene è quello che non riusciamo a fare. Concepiamo ogni progetto come una freccia scagliata verso il mondo e non come un dialogo con il mondo. Eppure lo stesso sviluppo delle realtà locali, quello sviluppo che ha cambiato il mondo e le vite di generazioni intere negli ultimi cinquant’anni, a ben guardare è nato da una disposizione ad ascoltare e accogliere quello che la realtà porgeva, interpretandolo in modo nuovo. Si pensi solo al turismo come esempio. Buona parte delle iniziative imprenditoriali che ne hanno generato lo sviluppo moderno e l’affermazione come una delle principali componenti della società e dell’economia locale, provengono non solo da donne, ma da una posizione che, almeno in principio, ha saputo dialogare con le espressioni del territorio, dell’ambiente, del paesaggio e della storia. Le cose vanno diversamente quando si vuole procedere di forza o a forza di interventi che dovrebbero creare efficienza e sviluppo attraverso l’aggressività e l’imposizione di modelli di gestione che hanno mostrato ampiamente la propria natura fallimentare. Allora viene naturale rivolgersi a chi a diverso titolo si occupa di emancipazione femminile, opera in associazioni dedicate e, soprattutto, dirige o presiede, con cariche pubbliche o private, imprese e istituzioni. Uno dei modi per affermare la distinzione dell’autonomia, a cui tanto si dichiara di tenere, potrebbe essere senz’altro quello di andare oltre le posizioni formali, i rituali un poco stanchi e le quote più o meno legali, nel riconoscere e praticare uno stile, un codice di comportamento appunto, che valorizzi la dimensione del dialogo, dell’ascolto, della sobrietà, della vulnerabilità, cioè dell’essere raggiungibili e plastici agli altri, in una parola il codice femminile o materno nelle relazioni, soprattutto in quelle di potere. Se ciò accadesse creerebbe distinzione, ma anche “contagio positivo” nei comportamenti maschili.