Linguaggio e arti sono incarnati Di Ugo Morelli. Archivio Sezione Hic et Nunc Scrive Chiara Frugoni in apertura del suo ultimo, importante lavoro, un vero e proprio viatico nell’arte e nell’iconografia medioevale: “Nel Medioevo, diciamo per semplificare almeno fino a tutto il XII secolo, il viso dei personaggi non esprime i sentimenti e i moti interiori dell’animo, demandati al linguaggio dei gesti e delle mani, quasi il corpo parlasse. Come vedremo, quanto appena affermato rimane vero in molti casi anche nei secoli seguenti” [C. Frugoni, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi, Torino 2010; p. 3].
La nostra creatività è incarnata, il nostro linguaggio è incarnato e le nostre espressioni estetiche lo sono. Si tratta di nostre espressioni corporee-relazionali-sociali allo stesso tempo, in quanto noi siamo animali naturalculturali. Sono la nostra storia e la nostra vita presente a dircelo. Ci sono due ostacoli, tra gli altri, come abbiamo più volte ricordato, alla possibilità di appropriarsi di questa nostra distinzione di specie: il dualismo mente – corpo e il riduzionismo deterministico; due vere e proprie “certezze” del nostro modo di pensare e di pensarci. Se ci chiediamo come si sono affermate quelle certezze possiamo però svelare lo stato delle cose. L’autoelevazione semantica, il processo che ci ha portato ad avere una coscienza di second’ordine e a pensare di pensare, a sapere di sapere, a sentire di sentire, è anche, probabilmente, alla base della nostra “produzione di separatezza” tra mente e corpo. L’entità pensante è la stessa entità pensata. Un doppio circuito che richiede un investimento emotivo-cognitivo maggiore e più impegnativo che separare l’entità pensante, causa del pensiero, dall’effetto pensato, oggetto del pensiero. Una espressione del “pensiero primitivo” e reificante che rappresenta tanta parte del modo di funzionare della nostra mente relazionale incarnata. La nostra mente relazionale incarnata è anche immersa in una cultura e in un contesto e quel contesto ha favorito la separatezza tra parte “alta” e parte “bassa” della nostra esistenza come esseri umani. Pensare per cause ed effetti, inoltre, e “localizzare” la causa è ciò che facciamo più immediatamente, oltre ad essere orientati principalmente alla conferma piuttosto che all’innovazione. Se ciò può andare bene per gli aspetti deterministici dei processi non può essere impunemente esteso ai fenomeni e ai processi in cui non è la località della funzione il criterio costitutivo, ma le proprietà emergenti e le loro dinamiche complesse, come nelle espressioni delle menti relazionali incarnate e risuonanti. In quelle dinamiche esprimiamo la nostra possibilità di non coincidere con noi stessi e di creare o di fruire delle risonanze che ogni creazione ci può far sentire. |