Giancarlo Blasi su Erba cedra e segreti amori di Ugo Morelli

Hic et Nunc

Alessandro Baricco (lo possiamo citare, visto che non l’hanno poi fatto ministro della cultura) dedicò una intera puntata di Totem (una quindicina di anni fa penso) a dare una sua personale definizione dell’attività dello scrivere (inteso come narrare). Siamo abituati a pensare allo scrittore che inventa una storia, che concepisce una storia, che plasma una storia. Baricco diceva che lo scrittore “porta a casa una storia”. Trovai la metafora particolarmente affascinante. Intanto perché il gesto del “portare a casa” è talmente ancestrale da assumere un significato simbolico universalmente comprensibile. Nell’epica omerica Priamo porta a casa le spoglie di Ettore, nella bucolica virgiliana il pastore porta a casa le greggi e l’agricoltore le messi. Ma c’è qualcosa di più: il narratore che “porta a casa una storia” lascia intravvedere un concetto: che le storie ci siano già tutte nell’universo colloidale delle emozioni collettive e lo scrittore, semplicemente, le sceglie, le aggruma, dà loro un contorno. Poi le prende per mano e gentilmente, con garbo, le porta a casa. L’immagine, in sé, è bellissima, bisogna convenirne. Può venire il sospetto, però, che dietro la suggestione di una espressione elegante non ci sia altrettanta sostanza. Una bariccata insomma, come le chiamano i tanti detrattori dello scrittore torinese.

Guardingo come ogni buon irpino, quando vidi quella puntata di Totem, tanti anni addietro, ebbi anche io quel sospetto: che lo scrittore che “porta a casa le storie” fosse soltanto un affascinante artificio dialettico.

L’hanno ridata quella puntata di Totem, qualche settimana fa, e l’ho rivista, per caso, proprio mentre rileggevo Erba Cedra. E non mi è spiaciuto per niente riconoscere, ancora una volta, che per la digestione delle idee ci vuole il suo tempo.

Quella idea, di Baricco, che mi pareva bella ma fumosa, improvvisamente si è fatta limpida.

La storia di Erba Cedra, le storie di Erba Cedra, fluttuavano (e fluttuano) – tutte - nella coscienza collettiva della comunità. Ugo Morelli le ha semplicemente addensate, scontornate, estratte per accompagnarle a casa, con gentilezza e garbo quando si poteva, con coraggio e ruvidezza quando si doveva, per metterle lì al loro posto, a casa.

Ho detto della comunità e, naturalmente stavo pensavo al villaggio, a Grotta, o forse ad un perimetro ancora più ristretto, le belle Filette. Ma faremmo un torto ad Ugo Morelli se ci attardassimo troppo a lungo in questa specificità. Giovannina (il nome lo leggiamo solo sul manifesto funebre), il padrone di tutto, il carrettiere milionario ed il geometra dalle mani grassocce, e Olimpio e Antonietta e Basilio e Giurdana e compa Martino, hanno la capacità di essere figure universali e restare nel loro “tutto tondo” anche se le porti al di fuori del piccolo universo donde prendono vita.

Sono le storie di un mondo che, mentre vive accovacciato lungo gli ultimi rivoli di un medioevo incupito dai tanti padroni che lo hanno attraversato senza fermarsi, è squassato dal terremoto che manda tutto “sott e ncopp”. Il terremoto del 62: una cesura nel flusso della nostra storia. Per noi è diventato il riferimento temporale di più plastico rilievo. Altrove si dice prima della guerra, dopo la guerra. Nelle università prima del 68, dopo il 68. A Milano prima di mani pulite e dopo mani pulite. Da noi: prima del terremoto del 62 e dopo il terremoto del 62.

In Ugo Morelli, il narratore non volta mai le spalle al pensatore, ed Erba Cedra non semplifica: non nasconde la complessità del vecchio mondo, i suoi fili sottili che si articolano in trame non semplici né ordinate, secondo percorsi slabbrati e indecifrabili, talvolta contraddittori. Né il romanzo si lascia accalappiare dal facile cedimento alle compiaciute nostalgie o dal rifiuto altrettanto facile (ed antistorico) di un mondo nuovo. Non è agevole sintetizzare la complessità e certamente faccio un piccolo torto di semplificazione ad Ugo Morelli, dicendo che il passaggio che fotografa Erba Cedra è quello dalla dittatura della miseria alla dittatura della volgarità.

Non si riscatta dalla miseria Giovannina. E’ presto consapevole che contro tutti i poteri, di maschi, di padroni, di suocere … lei ha un’arma affilata, che è nella sua capacità di seduzione. Non la usa per liberarsi dalla miseria ed avrebbe potuto farlo se avesse voluto. Lei decide presto che non è la famiglia che vuole. Non quella famiglia che – lo impara sin troppo presto – è solo il presidio della “roba”. Non si riscatta dalla miseria Giovannina ma fa molto di più: si riscatta dalla schiavitù. Singolarmente: lei che nel dire comune sarà stata certamente chiamata la puttana, la donna di molti, la schiava di tanti … è invece quella che ha saputo davvero praticare la libertà e, nella sua morte solitaria, può avere struggenti nostalgie ma non ha rimpianti nel portare con sé i suoi segreti amori ed il perduto profumo dell’erba cedra.

E par di sentire:
Non, rien de rien
Non, je ne regrette rien
Ni le bien qu'on m'a fait
Ni le mal; tout ça m'est bien égal


Erba cedra e segreti amori