Ma esiste il nordest?

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc


Un noto proverbio delle nostre parti suggerisce di evitare di mettere il sedere sulle pedate. A volte però la tentazione di farlo non solo è forte ma anche necessaria. Ebbene, l’occasione è l’iniziativa festivaliera, l’ennesima, che porta il titolo “La cultura ci fa ricchi” e mira a proporre il “Nordest” a capitale della cultura fra qualche anno. La serie di giustificazioni ripete ritornelli francamente un po’ consunti del tipo: la cultura alimenta la creatività; la cultura sostiene l’economia e i mercati; la cultura è “nei blue-jeans di marca”! (sì, avete letto bene, lo ha sostenuto il direttore, artistico naturalmente, dell’iniziativa, mentre affermava che le posizioni di un grande poeta come Andrea Zanzotto, che denuncia da tempo gli scempi e le devastazioni di una certa “cultura” del territorio in Veneto, sarebbero nostalgiche e superate); la cultura aumenta la ricchezza. E via cantando. “Siamo carne e paesaggio” ha sostenuto recentemente Renzo Piano. Allora conviene chiedersi se, al di là di un’espressione geografica, esiste davvero qualcosa che in pompa magna si chiama “Nordest” e se include anche il Trentino e l’Alto Adige. Se avete percorso solo una volta una strada che porta dal Trentino al Collio friulano per la Valsugana e la Pontebbana, potete rendervi facilmente conto di cosa accade dopo Bassano e fino a Sacile. Attraversate mondi diversi per cultura dello spazio, leggibilità del territorio, rispetto dell’ambiente, integrazione sociale. Se in Veneto il continuum edificato e labirintico vi consegna ad un uso indiscriminato del territorio e del paesaggio e a forme di vita altamente pregiudicate da uno sviluppo selvaggio, avete lasciato alle spalle un mondo, quello trentino e andate verso un mondo, quello friulano, che esprimono diverse storie, diverse forme di insediamento, diverse scelte di governo e valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente. L’impegno trentino a porre il paesaggio al centro della programmazione urbanistica non trova nessun riferimento nelle altre realtà. Le scelte di governo stanno tentando, ad esempio, di trovare un minimo comun denominatore per gestire bene l’accreditamento Unesco alle Dolomiti come patrimonio dell’umanità, ma far dialogare Bolzano, Trento, Belluno, Pordenone e Udine è molto impegnativo. Tutto questo è però solo l’aspetto più evidente. Ce n’è uno più profondo. Che la cultura sia cruciale per divenire umani e per una socialità e un’economia di qualità, è indubbio. Ma la cultura si genera grazie agli investimenti per farla crescere nei mondi della vita e nelle strategie educative e formative che mirano a far crescere il livello culturale, appunto, e civile di una popolazione. Che Padova insista proprio in questi giorni ad affrontare con i muri le differenze culturali, cosa ha a che fare con la tradizione di accoglienza e dialogo consolidata in Trentino e in Alto Adige? La cultura non è una cava da cui estrarre “materiali” per scopi strumentali. Solo se si investe per farla crescere e la si maneggia con cura fa molto bene la sua parte.