Creatività e innovazione
Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc
E ora abbiamo anche la conferma di un premio Nobel dell’economia: la crisi che stiamo attraversando è principalmente dovuta all’incapacità di innovare, di creare l’inedito, di investire in visioni e risultati originali. Edmund Phelps nel suo ultimo libro, infatti, si occupa di “spirito dell’innovazione”. Ma come, potremmo chiederci, un economista parla di spirito dell’innovazione? A parte il piacere di assistere ad un approccio transdisciplinare, finalmente siamo di fronte ad una constatazione tanto evidente da apparire perfino banale: sono le menti e le culture il principale vincolo e la principale possibilità di innovazione. I cosiddetti valori possono essere il più importante vincolo e la più favorevole opportunità per creare e innovare, in base ai modi in cui informano le menti individuali e collettive. Phelps sostiene, nel suo ultimo libro che presto sarà presentato anche in Italia, (Mass Flourishing. How grassroots innovation created jobs, challenge and change, Princeton University Press, New York) che vi è una produttività direttamente collegata all’innovazione. Quell’indice il Trentino e l’Alto Adige lo conoscono, in quanto il salto di qualità dell’economia turistica è figlio di una profonda innovazione sociale, culturale ed economica. Dove però il valore aggiunto non sta principalmente nelle cose materiali ma nella innovazione nei modi di valorizzarle e porgerle. Ed è lì che il treno a un certo punto si è fermato. Perché? Ascoltiamo ancora Phelps. Secondo lui è la tecnologia a neutralizzare il desiderio e l’investimento ad innovare. Curioso, no? Viviamo tutti nella giaculatoria che associa l’innovazione alla tecnologia, tanto che è difficile trovare il sostantivo “innovazione” senza l’aggettivo “tecnologica”. Invece la questione è molto seria. Da un certo punto in poi ci siamo affidati ciecamente alle tecnologie, cioè alla ricerca di soluzioni immediate e pratiche per massimizzare quello che avevamo inventato. La frenesia del breve periodo con le relative aspettative di rapidi arricchimenti ha invaso ogni spazio. Soprattutto quelli mentali: il nuovo arriva se si investe nel creare l’humus che lo genera. Mettere mano alle menti e alle mentalità, si propone allora come la principale fonte di innovazione. Gregory Bateson diceva che ogni fattore, anche il più salutare, oltre un certo livello può diventare tossico e, quindi, nocivo. Una prova riguarda il dilemma delle ricadute degli stessi investimenti in ricerca. È importante chiedersi come mai le ricadute sono basse: se lo sono, una delle ragioni è un ostacolo di natura cognitiva. Il miglior seme deve la propria produttività a una combinazione di fattori tra i quali spicca la natura feconda del terreno che lo accoglie. Per una civiltà ancora profondamente contadina non dovrebbe essere difficile comprendere e mettere in pratica il fatto che bisogna coltivare e preparare bene la terra perché la semina sia efficace e dia buoni frutti.
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