Per le diverse opportunia'
Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc
Se ci si chiede come si crea una società pluralista, una prima risposta riguarda l’esigenza di superare l’antagonismo come criterio per vivere le relazioni. Quello che con una certa semplificazione è definito “quarto femminismo” sembra aver imboccato una strada efficace. Aveva iniziato da par suo Judith Butler a mettere in evidenza il pluralismo di genere e i rapporti con le molteplici forme di esclusione ed emarginazione. Tutte quelle modalità escludenti sono accomunate da una tendenza alla specializzazione di una sola forma di vita che tende a prevalere sulle altre. Una società democratica, invece, trova nel pluralismo la sua migliore espressione. Lo stesso del resto accade in natura: è la biodiversità la fonte della vita e la condizione della sua possibile evoluzione. Il principio del separatismo, che della specializzazione era una versione magari non voluta, ma di fatto evidente, era stato una reazione comprensibile alla sudditanza femminile. Accade, purtroppo, che quel principio sia ancora presente, anche a livello locale, nella vulgata femminista e nel modo di porre e affrontare il problema dell’esclusione femminile. Essere “contro”, quando si è per natura e storia “con”, non porta però molto lontano. Abbiamo più volte sostenuto, anche su questo giornale, che avremo una società e istituzioni più giuste, non solo quando avremo più donne e più esclusi al comando, ma quando sia donne che uomini, sia esclusi che integrati, saremo capaci di esprimere e mettere in atto il pluralismo dei nostri modi di essere dentro noi e nelle relazioni con gli altri. Quel pluralismo, che comprende l’affettività e i linguaggi femminili e maschili, ci può consentire di riconoscere come non vi sia una parte di noi e dell’umanità contro l’altra, ma come le differenze, per quanto profonde, ci vedono parte di una comunità di destino. Allora è il modo in cui sappiamo e sapremo gestire il confronto, il dialogo, il conflitto, fra quelle parti di noi stessi, dentro noi e nelle relazioni con gli altri, che contiene la sfida che abbiamo di fronte. Quando leggiamo che autorevoli studi internazionali evidenziano una nuova cultura dell’impegno per l’emancipazione femminile, orientata a condividere percorsi con gli uomini e a comprendere qualsiasi minoranza che si possa connettere ad un progetto di emancipazione, allora siamo particolarmente soddisfatti. Questo significa che al centro non vi sono più interessi di una parte, ma che identificando questioni cruciali per tutti, si cerchino strade per una reciproca emancipazione. Organi di stampa di tutto il mondo, dal New York Times al Guardian, e studi di diversa estrazione e provenienza stanno documentando questa “nuova ondata”. Le donne e gli uomini di casa nostra diano un cenno di presenza e impegno in questa direzione. Una società locale attenta per storia al dialogo e alla solidarietà può trovare in questo un importante terreno di prova per una scelta di civiltà.
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