Capri espiatori
Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc
Assistiamo ad uno strano fenomeno che sta prendendo piede anche con l’amplificazione di una certa stampa: potremmo chiamarlo, un po’ paradossalmente, l’invidia verso i mendicanti. Sta montando, infatti, una tensione che fa apparire la presenza di persone in difficoltà che approfitterebbero in diversi modi della nostra società, dei nostri servizi e della nostra carità, il principale problema di cui occuparsi. Il fatto è che, da come se ne parla, sembrerebbe che quelle persone vivano una condizione invidiabile. Si leggono meticolose stime sui loro presunti redditi; si annotano gli usi impropri dei servizi disponibili; si mette a punto un apparato di considerazioni che si avvicina all’accanimento. Non stiamo parlando, qui, della necessità indiscutibile di rispettare le regole vigenti nei luoghi in cui si vive, da parte di tutti. Né stiamo trascurando il problema dell’aumento della povertà e del disagio sociale, o dell’opportunismo e dell’accattonaggio che si porta dietro. Il riferimento è più sottile: riguarda una certa concentrazione di attenzione, quasi ossessiva, su chi porterebbe via risorse alla nostra comunità raggiungendo in tal modo livelli di vita di cui si parla quasi con una punta di invidia. Questo è il paradosso. Come accade sempre i paradossi indicano qualcosa. L’impressione che si ha è che siamo di fronte ad un ennesimo segnale della pervasività dell’indifferenza e di una posizione paranoide nella nostra realtà sociale. Quella posizione merita analisi e attenzione. Com’è noto la paranoia porta alla ricerca delle ragioni di ciò che non va sempre in quelli che stanno intorno a noi assolvendo sempre noi stessi. Fino alla definizione di capri espiatori a cui attribuire responsabilità e colpe di tutto quello che non va. Uno degli effetti più problematici di climi sociali siffatti è la perdita di assunzione di responsabilità diretta e di un certo rigore nell’esame di realtà. Solo responsabilità e rigore possono aiutare a capire e indirizzare l’azione nelle giuste direzioni per il miglioramento e lo sviluppo del vivere civile. Allora chiediamoci seriamente chi di noi sarebbe effettivamente contento di vivere chiedendo l’elemosina, seppur in condizioni di opportunismo o sarebbe felice di sfruttare, per vivere, servizi di cui non ha diritto o, ancora, si sentirebbe contento di fare il furbo o il clandestino sui mezzi pubblici. Conviene perciò prestare attenzione a non farsi prendere la mano quando il pregiudizio e la xenofobia tendono ad alimentare ragionamenti che confondono la parte con il tutto. Conviene altresì distinguere tra ciò che devono fare la legge e gli organismi di controllo per far rispettare le regole del vivere civile, e quello che possiamo fare noi nel tenere aperto il giudizio e la forza delle relazioni e del legame sociale per creare una società più accogliente e capace di dialogo tra le differenze. Non abbiamo bisogno di soffiare sul fuoco dell’esclusione e di rinforzare quell’ “extra” che mettiamo innanzi alla parola “comunitario” quando diciamo, appunto, “extracomunitario”. Quell’ “extra” è forse il meno attuale e il più antistorico dei prefissi. Eppure lo usiamo nel linguaggio corrente e non ci aiuta a comprendere le vie per creare una società plurale, che mentre tutela le regole del vivere civile, contrasti ogni forma di creazione di capri espiatori e di steccati escludenti.
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