Responsabilità e civiltà Di Ugo Morelli. Archivio Sezione Hic et Nunc A leggere attentamente l’opportuno e meritevole confronto fra gli editoriali di Simone Casalini e Enrico Franco, rispettivamente di sabato 20 e domenica 21 marzo 2010 sul Corriere del Trentino, si tira un sospiro di sollievo. Se il giornalismo riesce a occuparsi dei temi della caduta di senso e della crisi del significato delle parole e delle dichiarazioni oggi, ma anche dello stile, facendo autoanalisi, c’è speranza. Una speranza figlia di un rattristato entusiasmo nel momento in cui si vede e sente utilizzare la parola “amore” con arroganza e fomentando odio e divisioni. Uno dei punti cruciali della riflessione ci sembra però da evidenziare e approfondire. E riguarda la questione della responsabilità. Un recente percorso di ricerca ha consentito di distinguere, a proposito di responsabilità, tra una forma “sacrificale” e una “relazionale” del rispondere a se stessi e agli altri. La prima forma, quella “sacrificale”, da sacer, separato, dovrebbe indurre certi comportamenti in nome di una disposizione proveniente dall’esterno degli individui. Si tratta di un adeguamento a norme o leggi, sacre o profane, a cui obbedire a fronte di minacce, sanzioni o condanne previste. La seconda forma di responsabilità, quella “relazionale”, si basa su due principi fondamentali: il primo stabilisce che si è responsabili prima di tutto verso se stessi; il secondo sostiene che è la presenza, sì, la sola e semplice presenza, dell’altro che mi interpella e mi responsabilizza preventivamente. Lo fa in quanto io riconosco che l’altro è l’altra metà di me, la parte senza la quale nulla mi è possibile: se insegno e non ho gli allievi non insegno a nessuno; se scrivo e non ho chi legge faccio un’attività inutile che mi fa sentire inutile e infelice; se gestisco persone sono gli altri a definire la mia possibilità di riconoscermi buono o cattivo; se governo e perdo il senso dell’altro degenero nel totalitarismo o nel populismo. Se oggi non mi pongo con responsabilità di fronte all’altro immigrato e presente, ritardo quello che comunque accadrà con danni per me e gli altri. Questo secondo tipo di responsabilità è preventiva o non è. La “continenza” come stile giornalistico, che Enrico Franco richiama, è proprio questo. Ma è tale perché preventiva. Perché riguarda il mio rispondere prima di tutto a me stesso nel fare quello che faccio. Non interviene dopo, quando non ne posso fare a meno e, quindi, “rispondo”. Quanto potere mi dò; quanto ascolto; quanto sento in me la presenza altrui come guida per l’azione, prima di limitarmi per le minacce o per altre ragioni; divengono queste le questioni fondamentali su cui si innestano anche le regole e le norme che, a partire da quella responsabilità relazionale, rispetterò e valorizzerò. Come nella disputa ebraica sulla creazione del mondo, in cui la domanda è: come ha fatto l’Altissimo a creare il mondo se è già tutto? La risposta diventa: per creare il mondo l’Onnipotente un po’ si ritira. È la responsabilità relazionale preventiva che potrà portarci una nuova civiltà.
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