Scegliere nella cultura
Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

“Ma che cosa è l’uomo se il suo maggior bene e il miglior impiego del suo tempo è, per lui, mangiare e dormire? Una bestia: niente altro.” Così Amleto, nell’atto quarto, quarta scena dell’opera omonima di Shakespeare. Una delle reazioni alla crisi in corso, che avremmo voluto vedere decisamente messa in campo, sarebbe stata l’affermazione di centralità della cultura e della conoscenza. Il fallimento evidente di una prospettiva centrata solo sull’economicismo ci dovrebbe aiutare a capire che l’arte, la cultura, la conoscenza, non sono solo risorse a cui badare quando c’è lo stomaco pieno: sono la via principale per elevarci e pensarci, per costruire il presente e l’avvenire. Quell’affermazione di centralità non c’è, però, per molte ed evidenti ragioni. Non solo perché i primi e più profondi tagli alla spesa sono stati operati nella cultura e nella formazione, soprattutto a livello nazionale ma anche a livello locale. Ma in particolare perché quei tagli sono lineari e ancora una volta non si è proceduto e non pare si intenda procedere a selezionare e scegliere in base a un criteri di qualità e di efficacia della spesa. È bene dire che la cultura, la formazione e la conoscenza sono stati, purtroppo, un campo vasto e complicato, in cui più che in altri ha agito la gestione della spesa pubblica come strumento di consenso. Ciò ha comportato due effetti pervasivi problematici che dopo un poco sono divenuti quasi normalità. Il primo è stato quello di chiamare “cultura” tutto quanto si muove sotto il cielo, da iniziative improvvisate e riempiticce, a esibizione di consunte e spesso inventate iniziative cosiddette “tradizionali”, naturalmente finanziandole con danaro pubblico. Spesso l’aggettivo “locale” accompagna queste scelte come una forma di giustificazione anche esibita. Il secondo effetto ha riguardato la scarsa disposizione alla ricerca e all’innovazione, anche in iniziative che un tempo avevano distinto il Trentino a livello nazionale e internazionale. Il risultato complessivo è stato quello di abbassare la cosiddetta cultura a livello del godimento fugace e occasionale, anziché fare della cultura il lievito dell’apertura e della capacità individuale e collettiva di pensare e agire l’inedito. Nella formazione le cose non sono andate diversamente. Anche in quel campo si attende un’azione in grado di selezionare la qualità. Un criterio può esserci. Esistono poche istituzioni che fanno formazione in base a ricerca metodologica e contenutistica, la cui storia ha segnato lo sviluppo delle competenze in Trentino. Quelle istituzioni fanno formazione e, facendola, accedono anche ai finanziamenti pubblici. Non è così per chi fa formazione solo perché vi sono i finanziamenti pubblici. La qualità e la continuità, ma soprattutto la ricerca di metodi e contenuti ne risentono. La crisi delle risorse riuscirà ad essere l’occasione per scegliere l’efficacia e il valore della cultura, della formazione e della conoscenza?