Crisi e progetto
Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc
Per fare i conti con la crisi e trovare vie inedite di sviluppo bisogna elaborare progetti innovativi. Il Presidente Napolitano nel suo discorso di secondo insediamento alla camera ha invocato l’innovazione come via per uscire dalla situazione attuale. L’innovazione è una questione che ci riguarda. Anche nelle nostre realtà locali incontriamo non poche difficoltà a passare dalla crisi allo sviluppo di progetti innovativi. Che rapporto esiste tra crisi e progetto? In primo luogo bisogna riconoscere che quella attuale non è una crisi da cui si esce tornando come prima. Né mantenendo il modello di sviluppo di prima. Saremo diversi perché siamo già diversi. Diverse sono soprattutto le condizioni generali. Le risorse presunte illimitate mostrano i loro limiti evidenti. Gli equilibri globali in cui sono inseriti i sistemi locali come il nostro sono completamente cambiati. In questo scenario, due sembrano gli ostacoli ad accedere a una visione evolutiva della crisi e del progetto:
- la presunzione di stabilità di ognuno di noi e delle nostre comunità, che a un certo punto incontrerebbero l'incertezza intesa come evento eccezionale e ne uscirebbe messo in discussione nella sua supposta continuità;
- la visione del mito moderno, del mondo come conquista da parte di un essere, quello umano, supposto sopra le parti, che modella il mondo "fatto per lui", a sua immagine e somiglianza, secondo razionalità, intenzionalità e volontà, disponendo di un'etica della verità a priori rispetto al linguaggio e all'azione.
Se si prescinde da queste presunzioni, sempre più falsificate dalla ricerca scientifica, ci possiamo accorgere che una concezione unitaria e stabile dell' "io" e delle identità comunitarie non è sostenibile. Né si può sostenere una pratica del progetto come una freccia lineare dalle intenzioni alla realizzazione.
Le categorie analitiche di "crisi" e di "progetto" subiscono allora una metamorfosi, la cui natura può essere ricondotta alle seguenti considerazioni:
- crisi, indica verosimilmente una "sospensione della regolarità", da krinò (gr. separo, distinguo); quella sospensione è un evento costante della nostra esperienza, altrettanto costantemente compensato o rimosso in ragione della nostra prevalente propensione alla continuità e al conformismo rassicuranti. Del resto solo grazie a quella sospensione della regolarità noi esseri umani, dotati di comportamento simbolico, possiamo concepire e immaginare l'inedito.
Le strategie conformiste dell'educazione e dell'organizzazione sociale, pur necessarie, ci disabilitano a praticare, almeno quando sarebbe necessario, il perseguimento delle emergenze creative che l'utero della crisi potrebbe generare. Ci riconsegniamo più volentieri ai contrafforti protettivi del conformismo, di quanto non coltiviamo le possibilità della trasgressione dell'ordine costituito. L’assistenzialismo delle politiche economiche pubbliche non basate sulla reciprocità fa il resto.
- progetto, richiama la propensione del nostro mondo interiore a non coincidere mai con se stesso e in questo senso siamo e ci sentiamo vivi. Imbrigliato nell'ingegneria razionalistica moderna, a cui peraltro oggi chiediamo così spesso asilo, non riuscendo a tollerare e elaborare l'ansia della complessità trasformatrice, "progetto", nella retorica managerialista, assume le caratteristiche di emanazione intenzionale e lineare di una mente disincarnata, isolata asetticamente dal contesto, deculturata. Un'autentica illusione che ha prodotto e produce mostri, fino alla patologia dei portatori. "Siamo un progetto e un'invenzione" nel senso che possiamo, e ne siamo effettivamente capaci, immaginare quello che ancora non c'è o mai c'è stato e mai ci sarà. E l'immaginazione ci salva da dove giaciamo sovente. Bisogna però investire seriamente in quella direzione.
L'immagine è il luogo fragile di un passaggio diretto, vale a dire senza mediazione rappresentativa, dall'affettività alla forma.
Noi siamo quelli che possono dare forma all'inedito, almeno in una certa misura, esercitando il dubbio sull'esistente e stare a vedere quel che ci offre il caso, andando oltre l’oppressivo presente.
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