Cooperazione e "economia senza gioia"
Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc
A volte bisognerebbe riuscire a fare come i bambini, riprendere daccapo. O praticare quel che dice un grande poeta, Derek Walcott: “Per i poeti, nel mondo è sempre mattina”, indicando l’esigenza di liberarsi dai condizionamenti della storia. La cooperazione trentina attraversa una porta stretta. Bisognerebbe riuscire a pensarsi daccapo. Mettendo al centro la cooperazione con la “c” minuscola. Cioè le buone ragioni del fare le cose insieme a partire dagli effettivi bisogni delle persone che si avvalgono dei servizi e dei prodotti delle imprese cooperative e dal meglio delle persone che ci lavorano. È come se la cooperazione con la “C” maiuscola, cioè la struttura istituzionale che governa la cooperazione trentina e tutti gli apparati di contorno, vivessero una distanza eccessiva dalle motivazioni che hanno fatto e fanno della cooperazione una via storica e sempre più attuale di fare impresa e di agire nell’economia. Parliamo, naturalmente, dell’economia come “regole per la buona gestione della casa”, dove la casa corrisponde alle comunità e ai territori della nostra vita, e non di quell’economia “senza gioia” che domina il mondo e che anche la cooperazione ha imitato, spesso senza sapere perché, e pagandone i costi. La verità per manifestarsi ha bisogno di immaginazione e, in certi casi, bisognerebbe procedere a una semplificazione, chiedendosi che cosa è prioritario. La cooperazione tra gli esseri umani, quella con la “c” minuscola, appunto, è una via privilegiata per riuscire a perseguire risultati anche ambiziosi, ma comunque capaci di porre al centro il bene vicendevole. Noi esseri umani cooperiamo quando abbiamo un bene comune a cui mirare e quando vogliamo distinguerci da minacce esterne. Il bene comune storico della cooperazione trentina è derivato dal porre al centro l’integrazione tra cultura, società e economia, riconoscendo che il patrimonio comune era condizione del bene di ognuno. Le minacce esterne provenivano e provengono dalle forme allora liberiste e ora neoliberiste di intendere l’economia e la società. L’individualismo autointeressato e la separazione tra i valori, il legame sociale e l’economia, sono il contrario della cooperazione. Da un certo momento in poi nella cooperazione si sono consumate due grandi separazioni: quella tra dichiarato e effettivo, per cui i principi e i valori sono divenuti “carte dei valori” e sono state usate come un “brand” per il marketing; quella tra teoria e pratica. Dimenticando che, come ci ha lasciato detto il grande filosofo, “è suonando la cetra che si diventa citaristi”, non continuando a parlare della cetra e facendo tutt’altro. La cooperazione è un’attività concreta che è trasmessa attraverso le relazioni autentiche, che corrispondono cioè ai comportamenti effettivi, e con un impegno culturale e educativo. Allora, nel tempo della crisi evidente e costosa dei modi individualisti e liberisti di fare impresa e economia, si può immaginare che il senso e il significato di fare cooperazione riprenda da una semplificazione necessaria e capace di iniziare daccapo, ponendo al centro l’inestimabile valore di “fare opere insieme”? La storia e il presente se lo meritano.
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