Il paesaggio è davanti a noi
Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc
Possiamo intendere il paesaggio come qualcosa che c’era una volta e che si può ricordare e cercare di vivere di quel che resta del passato nel nostro presente. Se chiamiamo questo il “paesaggio c’era una volta”, pare proprio quello che predomina oggi. C’è un altro modo di pensare e vivere il paesaggio. Riconoscere che il paesaggio di noi moderni è ineluttabilmente il paesaggio di adesso. “Mò”, che vuol dire adesso, è la radice stessa della parola “moderno”. Il paesaggio, in quanto spazio e condizione delle nostre vite, cambia con noi e noi non scegliamo se cambia o no, ma solo quali responsabilità ci diamo nel cambiamento. Se chiamiamo questo il “paesaggio durante” o il “paesaggio nel corso del tempo”, possiamo renderci conto che c’è un solo modo di evitare il declino: assumerci la responsabilità del paesaggio da progettare scegliendo le priorità nel farlo, tenendo conto dei limiti e delle possibilità. Altrimenti il declino è semplicemente inevitabile. La via del declino è quasi sempre figlia della contemplazione passiva della tradizione e del passato. Secondo l’antropologo e biologo Jared Diamond sono almeno quattro i motivi per cui una società determina il proprio declino. O non riesce a prevedere il sopraggiungere del problema che ne pregiudicherà il futuro; o non si accorge che il problema è già in atto e si autorassicura non cambiando stili e comportamenti; o si accorge che il problema è in atto ma non prova a risolverlo; oppure cerca di risolverlo ma non ci riesce. Se nel primo caso si adottano, di solito, soluzioni che causano problemi ancora più grandi di fronte alla novità del problema, nel secondo caso si tende a scivolare gradualmente nel problema senza rendersene conto e a reagire quando è troppo tardi, e nel quarto caso la soluzione sarebbe chiara ma i costi e le possibilità applicative sono superiori alle capacità del gruppo o della società coinvolta, è il terzo caso che ci interessa particolarmente. In questa situazione si verifica un paradosso: è come se ci fosse in atto una volontà di non affrontare un problema evidente. I benefici immediati e illusori derivanti dal mantenimento dello status quo mascherano “razionalmente” la necessità di cambiare, anche sostenuti dalla famosa e predominante forza dell’abitudine. Ora che il problema sia in atto, a proposito della vivibilità nei paesaggi delle nostre vite, è innegabile. E a parte qualche ben pagato negazionista, le questioni problematiche riguardanti il suolo, l’acqua, l’aria, il territorio, l’ambiente, sono note e riconosciute. Eppure si continua a discutere di paesaggio come sfondo, contorno o decoro e non come sostanziale essenza della nostra esperienza possibile di vivere in un contesto, di abitare un luogo. O si parla del paesaggio come si fa con la cultura. Si giunge a dire che si tratta del “petrolio” d’Italia e dei luoghi vocati al turismo, utilizzandolo come risorsa da vendere e, per venderla, come sito per edificare. Celebrandone naturalmente la tradizione e il “c’era una volta”. Altra cosa sono la storia e la memoria come fondamenti del presente e del futuro. Il paesaggio che cambia con noi è davanti a noi e attende l’esercizio delle nostre responsabilità progettuali e di governo, qui ed ora.
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