La fine dell'uguaglianza
Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc
Ora, non vogliamo dire che si tratti di tornare alle ideologie egualitariste radicali. Quello che vorremmo è porre all’attenzione il ritorno prorompente della questione dell’uguaglianza nel tempo della crisi. Fa un certo effetto, per proporre un esempio, leggere sulla prima pagina del Corriere della Sera (6 marzo 2013) due notizie contigue: “I soldi non bastano a due famiglie su tre”, secondo gli ultimi studi della Banca d’Italia; “Lista d’attesa per la Ferrari da 1,2 milioni”, secondo le indicazioni della casa di Maranello che presenta la propria automobile ibrida al Salone di Ginevra. Vorremmo solo sussurrare, se può servire, che uno dei tre valori della Rivoluzione Francese, mai perseguito nei fatti e poi, negli anni rampanti dell’ultimo quarto di secolo prima della crisi attuale, deprecato e demonizzato come la peste, forse merita un poco di attenzione. Vorremmo, inoltre, ricordare che la nostra Costituzione indica la rimozione degli ostacoli alla realizzazione individuale come un compito preciso della Repubblica. Non si tratta di contrapporre, come è stato ideologicamente fatto, la libertà individuale e il merito all’uguaglianza. In primo luogo perché quella libertà è sempre più spesso una libertà di morire di fame. In secondo luogo, in quanto il merito perseguito a oltranza e fine a se stesso genera concorrenza spietata, cannibalismo e distruzione della motivazione e dei climi aziendali. È certamente necessario sottoporre a critica la degenerazione ideologica del tema dell’uguaglianza. In nome di un falso modo di intenderla abbiamo visto accadere cose non belle, come la protezione dei nullafacenti o il misconoscimento dei più meritori. Abbiamo visto proteggere chi proteggibile non era e molte realtà sedersi su se stesse. Si sono così generati ostacoli non piccoli alla motivazione a investire e innovare, anche nelle nostre realtà locali. “Non c’è niente di più ingiusto che trattare come uguali i diversi”, ha scritto don Lorenzo Milani, indicando la stretta connessione tra uguaglianza e giustizia sociale. Una volta fatto l’esame critico, però, è bene non gettare via il famoso bambino con l’acqua sporca. E il bambino consiste nel fatto che la disuguaglianza oltre una certa soglia uccide la democrazia e pure l’economia. Non per niente vi sono scritte sette parole nella Costituzione americana, come ricorda opportunamente Vittorio Emanuele Parsi nel suo libro La fine dell’uguaglianza, edito da Rizzoli: “Tutti gli uomini sono stati creati uguali”. Anche in quella democrazia la strada da fare è molta, e oggi il valore dell’uguaglianza è più che mai in crisi, come appare dall’opposizione repubblicana a tassare i redditi altissimi, importandosene dell’indigenza in cui versa un numero sempre più elevato di cittadini americani. Il Presidente americano però combatte. Una specie di falso pudore, qui da noi, sembra vietare ai politici di utilizzare semplicemente la parola uguaglianza. Possiamo auspicare che qualcuno provi a riabilitarla facendone materia di concrete proposte e ancor più reali applicazioni?
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