"Mediacritas vulgaris" e crisi di civiltà
Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc
C’era una volta l’ “aurea mediocritas”. Indicava la capacità di cercare e scegliere la posizione giusta e intermedia e di collocarsi in maniera appropriata nella vita. C’è oggi la “mediacritas vulgaris”. Si, proprio mediacritas. Non è un errore di stampa, ma un vetero-neologismo. Necessario per indicare uno stile pervasivo e dominante. Quello stile ha i suoi buffoni di corte come Emanuele Filiberto e i suoi capi ispiratori e dominatori come il Presidente del Consiglio italiano. Si basa, quello stile, su due capisaldi. Una teoria “totalitaria” che ambisce a spiegare e dominare ogni aspetto della vita. Un consenso acritico indotto dalla televisione unica che genera pensiero unico. Del secondo caposaldo, il consenso acritico, abbiamo avuto una prova evidente con il festival di Sanremo e il televoto. Mettendo da parte per un momento l’esistenza di eventuali brogli, è possibile riconoscere in quel caso le perversioni della cosiddetta “democrazia” affidata all’immediato giudizio del “popolo”. Se il “popolo” altro non ha che quel tipo di proposta e solo dalla degradante programmazione della televisione unica si informa, avrà l’illusione di scegliere, ma di fatto non ha alcuna alternativa. Si sente però protagonista del nulla e tutti degradiamo verso la volgarità più agghiacciante. Le affinità fra il testo della canzone del principe decaduto e canti di “popolo” come l’inno di Forza Italia e “meno male che Silvio c’è” sono elevate ma raggiungono il massimo grado nel campo della volgarità. Una “mediacritas vulgaris”, appunto. E così il consenso è servito nella sua forma più degradante e pericolosa. Le regole di governo della cosa pubblica e dell’informazione e dello spettacolo pubblici possono starsene in soffitta o sotterrate sotto le macerie delle istituzioni. E veniamo al primo caposaldo: la teoria “totalitaria” che tende a dominare ogni aspetto della vita. La sua principale e subdola caratteristica è la pretesa di presentarsi come post-ideologica e, quindi, pratica e oggettiva. L’individualismo autointeressato basato sul “fare” senza regole, unitamente al liberismo economico basato sulla crescita incondizionata fondata sull’ingiustizia sociale e la disuguaglianza, sono un’ideologia. La più pervasiva delle ideologie. Tanto più che pretende di presentarsi come non-tale. Il neoliberismo mette in crisi la civiltà e le istituzioni presentandosi come salvifico perché oggettivo. Gli interessi economici colonizzano la politica e la cultura, quindi, in una parola, la possibilità di scegliere, mentre esibiscono il consenso costruito e l’assuefazione programmata come scelte. L’appagamento e il godimento sono garantiti, né è possibile avere spazi per discutere il fatto evidente che la riorganizzazione neoliberista del mondo da Reagan a Tatcher fino ai nani nostrani è all’origine della crisi economica, sociale e istituzionale che ci attanaglia tutti. Una crisi di civiltà che non vediamo di non vedere, immersi come siamo nella nostra mediacritas vulgaris.
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