Partecipazione e democrazia Di Ugo Morelli. Archivio Sezione Hic et Nunc La distanza tra cittadini e potere e la crisi dei processi partecipativi sono tra i fenomeni più problematici del nostro tempo e interessano anche i livelli locali. Confrontarsi su questi temi risulta ai più persino noioso. È però uno degli atti più necessari. È, inoltre, vero che gli intellettuali esprimono, nella maggior parte dei casi, un silenzio assordante o formulette appaganti e soporifere come la liquidità o la celebrazione dell’incertezza. Ci vuole il coraggio e la responsabilità richiesti dalla situazione per cercare di capire. Circa quarant’anni fa, grazie alla passione educativa di due grandi maestri, Achille Ardigò e Augusto Palmonari, ho potuto studiare due libri: La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, di Jurgen Habermas, e Pragmatica della comunicazione umana, di Paul Watzlawick e colleghi. Il confronto serrato in quegli anni di studio, quindi, era proprio sulla crisi dei processi decisionali e partecipativi da un lato e sui vincoli e le possibilità della comunicazione umana, dall’altro. Si coglieva con evidenza fin da allora l’insieme dei problemi che il direttore di questo giornale e Michele Nardelli hanno posto nei giorni scorsi. Non funzionava più la presa di decisione politica sulla base della razionalità delle scelte. Ci si rendeva conto che altri fattori intervenivano a determinare le preferenze e la loro complessità metteva in discussione i tradizionali criteri della delega e della rappresentanza. I conflitti sociali mostravano l’esigenza di darsi una voce da parte di nuovi soggetti sociali. Quei soggetti mostravano linguaggi inediti e cominciava a crearsi un diaframma, che sarebbe divenuto un muro, tra le dinamiche vive delle esperienze individuali e dei gruppi sociali e la politica intesa come organizzazione delle forme amministrative e di gestione del potere. Quei problemi si sono approfonditi, specializzati e moltiplicati, anche in ragione delle rivoluzioni economiche, culturali e planetarie intervenute negli ultimi vent’anni. La loro natura è però la stessa. Chi amministra il potere e la cosa pubblica ha risposto con il marketing della politica e con la specializzazione nei meccanismi che generano consenso. Ci fanno perciò difetto i rapporti chiari e concreti fra le parole e le cose. Tutto ciò incide pesantemente in quella che è la vera e propria vena giugulare della democrazia: la partecipazione. Gli ostacoli e le opportunità del prendere parte dipendono da tante cose ma, in particolare, dal fatto che ognuno di noi quando comunica con un altro può ottenere tre tipi di esiti: l’accordo dell’altro; il disaccordo dell’altro o l’indifferenza. Se ottiene accordo o disaccordo quella comunicazione sarà efficace e genererà partecipazione. Se la risposta è l’indifferenza non vi sono le condizioni per la partecipazione. La responsabilità principale è di chi confonde il marketing e l’informazione a una via con la partecipazione. Né si può dire che ciò avvenga in maniera disinteressata. Il confronto costa e l’elaborazione dei punti di vista differenti richiede impegno e disposizione a cambiare idea. Un progetto politico e di governo all’altezza dei nostri tempi dovrebbe partire, forse, dal porre al centro la ricerca e la costituzione inedita dei processi partecipativi. |