Diversi, perciò uguali Di Ugo Morelli. Archivio Sezione Hic et Nunc Noi non siamo razzisti, siamo reali!”, dichiara il coordinatore locale di un partito politico, in un’intervista televisiva rilasciata alla manifestazione della destra contro l’immigrazione. Il motivo scatenante della manifestazione sono stati i gravi episodi di violenza tra immigrati di alcuni giorni fa. Al di là del fatto che probabilmente l’intervistato intendeva dire di essere realista, il lapsus è davvero un’importante occasione per riflettere sul problema. Essere “reali” può voler dire molte cose. Tra queste si possono elencare il fatto di esistere realmente, insieme alle posizioni che si basano su affermazioni come: credo a quello che vedo; sto ai fatti. Che le posizioni xenofobe, nelle loro diverse manifestazioni, siano reali è un fatto evidente, in Italia e anche in Trentino, anche se qui, per scelta e per fortuna, in misura inferiore e in presenza di provvedimenti pubblici e azioni sociali rilevanti. Da quando la mondializzazione ci richiede di acquisire una coscienza culturale e civile allargata a tutti i popoli del pianeta, in molti casi stiamo reagendo con la chiusura e la ricerca ossessiva delle condizioni per essere “sicuri da morire”. La paura del diverso esiste realmente e merita molta attenzione. Tutti siamo turbati dalla differenza rispetto al nostro modo di essere, di sentire, di comportarsi. Ognuno di noi proietta spontaneamente l’aspettativa che gli altri siano come noi. Spontaneamente, appunto. Noi esseri umani, però, non possiamo costruire la nostra vita individuale e sociale sul sentire spontaneo e immediato. Sarebbe un ritorno alla barbarie e all’orda. Se sentiamo un desiderio per un’altra persona non le saltiamo subito addosso. Riteniamo quest’ultimo un comportamento da punire. Diveniamo umani proprio interponendo la riflessione e la mediazione del pensiero e della cultura, alla spontaneità. Dall’uso responsabile di quella capacità di riflettere, di piegarci cioè due volte su noi stessi prima di parlare e agire, dipende quel tanto di civiltà che abbiamo e che vogliamo giustamente difendere. La paura del diverso deve perciò essere considerata rispetto alla responsabilità che abbiamo di elaborarla in prospettiva. Ci facevano paura i diversi della valle di fronte e oggi quelli di un paese lontano, con altri costumi e con un altro colore della pelle. La civiltà che vogliamo si difende con il grado di responsabilità che riusciamo ad avere per fare i conti con quelle differenze. Si capisce la risposta immediata fatta di norme di espulsione o di esclusione, ma si dimostra la via per farsi molto male. Creando per esempio occasioni per una guerra tra poveri, delle cui conseguenze poi ci lamentiamo. Stare ai fatti e essere realisti è decisivo, certo. Allora dobbiamo considerare che quei fatti sono le conseguenze delle nostre stesse azioni di esclusione e chiederci come potremmo superare la paura che ci prende di fronte alla differenza. Circa cinquantamila persone immigrate non sono tutte uguali e sarebbe importante studiare la loro composizione e le loro differenze, insieme alle forme di sfruttamento interno che sempre ci sono in questi casi. Sarebbe importante attrezzare con norme e competenze le forze dell’ordine. Molto si puòe si deve fare. Posto che le regole e le norme devono essere rispettate e che la violenza deve essere condannata e repressa con gli strumenti che ci sono, abbiamo bisogno di riflettere sul fatto, quello sì reale, che viviamo in un solo mondo, che siamo una sola specie, quella umana, tra le altre specie, e che ogni individuo della nostra specie ha gli stessi diritti e gli stessi doveri, altrimenti non ne usciremo bene. |