Paesaggi urbani

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Se è condivisibile che “la vocazione delle aree pubbliche non può essere imposta dall’alto”, come sostiene il sindaco di Trento, è bene riflettere sul fatto che sarebbe meglio non lasciarla al caso e al mercato. Le possibilità non sono due, ma necessariamente tre, come dovrebbe essere in democrazia. Si governa avendo in mente la norma, il bene comune frutto di negoziazione partecipata e il consenso necessario per decidere. Quando il consenso e il caso lasciato libero a se stesso vincono, si producono i fallimenti, come quelli del mercato, che sono sotto gli occhi di tutti. La norma che sarebbe necessario avere in mente, peraltro, non è data solo dai regolamenti comunali ma dalla Costituzione da cui le altre norme discendono. Perché è il caso di tirarla in ballo? Per quell’articolo nove che riguarda la tutela e la valorizzazione dei patrimoni culturali e paesaggistici. Il paesaggio urbano è altrettanto importante di quello agrario ed è il luogo di vita di una parte importante della popolazione, residente o di passaggio. Pensiamo solo ai bambini, per fare un esempio. Stiamo studiando i modi in cui i bambini si costruiscono i propri paesaggi originari; i modi, cioè, in cui percepiscono lo spazio in cui vivono e quali materiali elaborano per disegnare il proprio senso del luogo. Ebbene, siccome un paesaggio cognitivo e affettivo se lo costruiscono comunque, lo fanno con gli spazi che hanno a disposizione e con la loro qualità proposta. Si provi a pensare a un bambino che voglia andare in bicicletta in piazza Mostra o che voglia girare in centro storico, a Trento. “Chi viene a Trento si sente un cliente”, dice il sindaco. Mi pare l’affermazione più degna di nota. Appunto, si sente un cliente. La città non è un mercato ma un luogo di vita. Non dovremmo essere cittadini che partecipano agli spazi della città o ospiti della città, e non solo clienti? La specializzazione dei luoghi e il loro uso o abuso commerciale li omologano e ne riducono la fruizione a una sola modalità. Piazza Mostra e Piazza Garzetti ne sono due esempi lampanti per ragioni diverse. Per la prima basterebbe una piccola analisi costi-benefici riguardante l’esiguo numero di parcheggi, che comunque la mortificano irreparabilmente. Per la seconda non si comprendono le installazioni che ne fanno solo un luogo emarginato. Sarebbe poi importante non dimenticare il parco di Piazza Venezia e la sua emarginazione causata da una via che ha una delle più alte intensità di traffico che si conoscano, che si accetta come un destino. Stupisce, inoltre, che chi rappresenta Italia nostra parli si specializzazione, quando è proprio l’integrazione delle differenze che fa vivere gli spazi urbani, e a proposito di Piazza Duomo accetti il fatto compiuto dell’invasione dei tavolini. Proprio perché le possibilità e le capacità di governo di una città come Trento esistono e sono elevate, sembra importante uno sforzo di immaginazione e di pianificazione negoziata e partecipata, un’inedita capacità di ascolto e confronto, per un progetto all’altezza del presente che renda più vivibile il paesaggio della nostra vita.