Lavoro e libertà Di Ugo Morelli. Archivio Sezione Hic et Nunc Le parole prevalenti con cui parliamo del lavoro in questi ultimi tempi sono due: individuo e impresa. Il lavoro ci appare così ridotto ai minimi termini: una questione individuale, riguardante strettamente chi lo offre e chi lo richiede. Anche dove le cose vanno relativamente meglio dal punto di vista occupazionale, come in Trentino e in Alto Adige, è difficile individuare le componenti di una cultura del lavoro all’altezza del nostro tempo. Cosa intendiamo per cultura del lavoro? Qualcosa di molto elementare: così come, nonostante tutta l’attenzione all’immateriale e al simbolico nella nostra società, il cibo che mangiamo continua ad essere prodotto dalla terra, allo stesso modo è il lavoro vivo delle donne e degli uomini a generare la produzione e la riproduzione sociale e civile. Possiamo assistere, come di fatto assistiamo, alla delocalizzazione, all’ossessione per l’abbattimento dei costi del lavoro, alla finanziarizzazione dell’economia, allo sfruttamento dei migranti o all’esplosione del precariato, ma sempre del lavoro come fonte della nostra vita stiamo parlando. Se le macchine e le tecnologie riducono l’incidenza del lavoro fisico, la nuova organizzazione del lavoro richiede una maggiore capacità di lavoro mentale ad elevato contenuto di conoscenza. Allora è difficile confermare la riduzione al binomio individuo-impresa, quando si parla di lavoro. Anzi, è importante e urgente considerare quali effetti problematici e gravi quella riduzione generi nel nostro tempo. In primo luogo essa trascura la rilevanza di tutti i processi di mediazione che intervengono tra chi investe per formare le proprie capacità e chi di quelle capacità ha bisogno per fare impresa. Le agenzie intermedie come la famiglia, il sindacato, gli enti di orientamento, mostrano di svolgere, quando va bene, un ruolo di riparazione dei danni o di contenimento dei disagi. Non siamo stati capaci finora di uscire da logiche binarie: posto fisso per tutta la vita-precariato senza alcuna protezione. La concezione di forme innovative in grado di contenere e organizzare la complessità che il lavoro assume oggi, merita un’attenzione maggiore a quella finora dedicata. In secondo luogo, la riduzione alla logica individuo-impresa, lascia le persone sole di fronte alle difficoltà di avere l’opportunità di esprimersi nel lavoro e crearsi un percorso di vita significativo, e lascia le imprese nella posizione di ritenere il lavoro un costo o una variabile secondaria. Ne deriva, come terza e forse più importante questione, la crisi del lavoro non solo come base di sussistenza, ma come fonte della partecipazione alle relazioni sociali e del significato stesso dell’individuazione e della cittadinanza. La libertà individuale di sentirsi parte del legame sociale e di concorrere responsabilmente alla creazione di una civiltà all’altezza del nostro tempo, proviene in buona misura dal lavoro e dal suo riconoscimento sociale e culturale. Per questo è importante una cultura del lavoro che ne evidenzi il significato civile e umano, come condizione per riconoscerne anche la rilevanza pratica. |